LA FONDATEZZA DELLA PREOCCUPAZIONE DEGLI ABITANTI
DELLA VAL DI SUSA PER IL TAV (LAVORI NELLE GALLERIE PER
IL TRENO AD ALTA VELOCITA').
I GRAVI DANNI ALLA SALUTE CAUSATI DALL'URANIO e DALL'AMIANTO
I DANNI CAUSATI DALL'AMIANTO DELL'ETERNIT DI SIRACUSA.
ULTIMISSIME DEL 27 APRILE 2006: I LAVORI INIZIERANNO NEL 2010 DOPO LE VERIFICHE AMBIENTALI
Leggendo vari articoli di svariati scienziati e medici e constatando i risultati di ricerche fatte nelle roccie della Val di Susa possiamo capire i motivo del malcontento e della preoccupazione crescente degli abitanti.
Anche se i lavori per la TAV sono estremamente importanti per lo sviluppo non solo italiano, ma anche europeo, dobbiamo anche capire le preoccupazioni dei Residenti.
Per ovviare a questa gravissima situazione si dovrebbero deviare i lavori in una zona con bassissimo indice di abitabilità. Inoltre i residui degli scavi dovrebbero essere riposti in luoghi estremamente sicuri e completamente separati, anche con grosse lastre di cemento, dall'ambiente esterno. Inoltre i lavoratori devono indossare sicure spesse tute coprenti l'intero corpo,scarpe particolari, maschere e guanti appropriati. Venga utilizzato tutto quanto è necessario per combattere particolari sostanze chimiche o radioattive. (LEGGERE ANCHE IL DOCUMENTO "Come difendersi dalle Armi nucleari, chimiche e biologiche" PRESENTE NEL PRESENTE SITO e apprese dal sottoscritto nel lontano 1972.
Vengono ora presentati dei documenti che evidenziano i gravi danni alla salute causati dall'Uranio e dall'Amianto.
Altri si sono accorti del problema dell'URANIO
Un breve sunto di un documento a cura di Massimo Zucchetti ed Enzo Mersi del Politecnico di Torino.
I MEDICI DI BASE della Valle di Susa denunciano i pericoli dovuti alla presenza di amianto e uranio nello smarino delle gallerie.
80 medici di base della valle di Susa firmano questo manifesto/documento.
Verrà distribuito nei loro studi a tutti i mutuati. Nessuna iniziativa del
genere in Italia è mai stata portata avanti collettivamente dai medici di un
territorio.
Queste sono le conclusioni del documento:
"La situazione che si prospetta per il nostro territorio è, a nostro
avviso, estremamente preoccupante, tale da configurare la concreta possibilità
di severi danni alla salute pubblica.
Come medici operanti in Val di Susa crediamo sia nostro dovere pretendere che
siano attivate misure di sicurezza tali da impedire la contaminazione del nostro
territorio."
Scarica il Volantino: Pagina 1 - Pagina 2
La pericolosità dell'estrazione dell'amianto in Valle di Susa
A cura del dottor Edoardo Gays, specialista
oncologo dell'ospedale S.Luigi di Orbassano
Una preoccupante valutazione medica di impatto ambientale relativa al secodo
progetto preliminare di RFI.
Osservazioni al secondo progetto preliminare di RFI
A cura del Prof. Luca Mercalli, presidente della Società
Meteorologica Italiana
I punti trattati in questa relazione sono:
- Effetti del vento sulla dispersione di particelle d'amianto
- Rischio idrogeologico: precipitazioni intense e alluvioni
- Valutazione delle emissioni di gas serra in sede di costruzione dell'opera e a regime operativo
La regione fa stampare un pieghevole sui rischi legati all'amianto
Un pieghevole fatto stampare dalla Regione Piemonte ci avverte del gravissimo rischio che si corre stando a contatto con le fibre di amianto... che ipocrisia!
Scarica il pieghevole sull'amianto
Vi proponiamo un interessante articolo a cura di Mario Cavargna, esperto ambientalista di Pro-Natura:
IL PROBLEMA DELL'AMIANTO ACCOMPAGNA LA STORIA RECENTE DELLA VALLE DI SUSA.
Dalla chiusura dopo una lunga battaglia delle cave di serpentino di Trana (ancora da bonificare) al ritrovamento nei sondaggi geognostici per la pista da bob a San Marco-Jouvenceaux. Ma probabilmente la vera sorpresa deve ancora arrivare, con la lunga galleria del cosiddetto tratto di "gronda nord" del tav.
La prima delle due gallerie del progetto interamente italiano della linea ad alta capacità ferroviaria Torino-Lione partirà da Caselette e arriverà a Novaretto. Una galleria che non è ancor chiaro se sarà a doppia canna, lunga oltre dieci chilometri. Il risultato sarà una quantità enorme di roccia portar fuori dalla montagna sotto forma di smarino, da ammassare chissà dove. Una roccia che secondo le carte geologiche e secondo studi vecchi di decenni contiene crisotilo, l'amianto di serpentino. La galleria dovrebbe iniziare nell'area tra il lago di Caselette e Grange di Brione, nel comune di Caselette, a una quota di circa 350 metri sul livello del mare. Se si mantenesse a tale quota, bucando rima il Musinè, passerebbe ben al sotto delle deposizioni moreniche che sovrastano Almese e Villardora, passando dunque ancora nel cuore delle rocce verdi, fino alla fuoriuscita, sempre a quota 350, poco prima di Novaretto. Il tav incontrerebbe poi le stesse rocce, nella sua nuova galleria dalle cave Rotunno di Caprie fino almeno al vallone del Gravio dopo Condove, prima che inizi la propaggine valsusina sopra Borgone del massiccio geologico "Dora-Maira" fatto di gneiss e che non può dunque contenere amianto. La bassa valle di Susa è il limite inferiore del "massiccio ultrabasico di Lanzo", un grande massiccio geologico di montagne formate dalla stessa famiglia di rocce che nelle cartine specialistiche è segnalato con colorazioni verdi. Si estende dal monte San Vittore tra Corio e Balangero (a nord) fino al Musinè (a sud); dal confine con la pianura dello stesso Musinè (a est), fino a Torre del Colle. Sono le montagne color ruggine, perché il serpentino contiene ferro che a contatto con l'aria si ossida (altro problema). Secondo le carte geologiche, le rocce che incontreranno gli scavi della galleria Caselette-Novaretto sono le seguenti. Fino a poche decine di metri dall'imbocco, serpentinite. Poi, peridotite con presenza di serpentino fino, più o meno, all'altezza del concentrico di Almese. Poi, di nuovo serpentino sopra Almese, sotto il Messa, sopra Villardora all'altezza di borgata Vindrola. Da qui, fino allo sbocco dopo Torre del colle: prasiniti, che in linea di massima difficilmente contengono amianto.
Tutte rocce che fanno parte dello stesso massiccio geologico di Balangero. Anzi le serpentiniti sono esattamente le stesse del monte San Vittore della cava di amianto di Balangero dove per decenni si è estratto l'amianto più fibroso e dunque più pericoloso d'Europa (ma per questo anche di alta qualità tecnologica). La genesi di questi serpentini e la loro età è la stessa. Tutto lascia supporre perciò che anche le serpentiniti del Musinè e di Almese contengano crisotilo, l'amianto del serpentino.
In effetti, la sua presenza è già segnalata nella relazione di accompagnamento della carta geologica d'Italia, foglio 56, "Torino"; redatta dal servizio geologico d'Italia. La carta fu tracciata dai più illustri geologi degli anni '60 che sono anche i più famosi conoscitori dell'amianto: Bonsignore, Bortolami, G.Elter, Sturani e Zanella. Qui, le peridotiti sono chiamate Lherzoliti e per la loro descrizione geologica si rimanda al lavoro di E. Sanero che nel 1932 scopri una notevole analogia del Musinè con le rocce a nord di Balangero. "Nella zona del Musinè - scrivono gli autori citando Sanero le lherzoliti sono essenzialmente composte da olivina sovente trasformata in serpentino (...) Le serpentiniti sono formate da serpentino con caratteri dell'antigorite e, più raramente, del crisotilo (amianto puro ndr)". L'antigorite è una forma fibrosa compatta di colore verde, in pratica l'amianto compatto, poco pericoloso.
Dunque, che con la galleria del tav salterà fuori anche l'amianto ci sono pochi dubbi. Per definire il livello di pericolosità occorrerà attendere i sondaggi e le analisi corrette delle concentrazioni. Per queste analisi, ci hanno detto autorevoli geologi, è importante stabilire il criterio di campionatura. Infatti, non basta fare analizzare un campione di rocce verdi o di serpentino per stabilire la quantità di amianto media presente. Occorre analizzare campioni con diverse concentrazioni, a varie profondità e in zone il più possibile ravvicinate. Ci vorranno dunque un'infinità di campionature prima di potere eseguire analisi corrette.
Qui di seguito altri articoli.
Mammola, presidente commissione trasporti: "Amianto? Dove? Se c'è stiamo già pensando come riconvertirlo" Il Giornale - 27/2/2002 |
- La preoccupazione degli abitanti di Sauze d'Oulx, paese dove
avrebbe dovuto sorgere la pista di bob delle olimpiadi del 2002: intervista
al parroco ed al sindaco di Sauze d'Oulx. (Articolo tratto da www.lastampa.it)
A Sauze hanno evitato di costruire un impianto di bob... e per decine di
kilometri di gallerie non c'è alcun problema?
- Intanto molte persone a Sauze d'Oulx sono già morte a causa del mesotelioma
da amianto. (Articolo tratto da www.lastampa.it
)
- La soluzione? Basterebbe non
estrarre quelle rocce. (Articolo tratto da www.lastampa.it
)
Ma nella nostra valle non c'è solo l'amianto
ma anche l'uranio, che rappresenta un rischio ancora maggiore.
Non stiamo parlando di metalli contenenti uranio
impoverito (Articolo tratto da www.lastampa.it
), parliamo di minerali di uranio.
Ed anche in questo caso alcuni anni fa l'uranio
ha già ucciso.
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DANNI
CAUSATI DALL’URANIO NEL CORPO
UMANO
Per valutare pienamente il rischio dovuto all’Uranio non si possono
trascurare le sue
proprietà
chimiche. L’Uranio è infatti un metallo pesante altamente tossico la
cui
ingestione/inalazione può causare gravissimi danni ai reni.
L’esposizione
dell’uomo a composti d’Uranio dà quindi luogo a due diverse
tipologie
di rischio: il danno renale e il danno radiologico.
Quale
dei due rischi sia quello maggiore non è possibile dire in generale, in
quanto
il prevalere dell’uno o dell’altro dipende fortemente dalla specie
chimica
e dalle modalità di esposizione.
Data
la sua bassa radioattività g, il rischio di gran lunga maggiore è
comunque
legato all’introduzione dell’Uranio nell’organismo attraverso
inalazione
e/o ingestione.
A
questo riguardo è necessario distinguere i vari composti dell’Uranio in
solubili
e insolubili: questa proprietà, riferita ai fluidi corporei (in particolare
al
plasma)
è molto importante poiché in base ad essa è possibile stabilire il
percorso
dell’Uranio nell’organismo e quindi studiarne gli effetti.
In
particolare i composti solubili, cioè quelli che entrano facilmente in
circolo,
rappresentano un rischio per l’apparato renale: esso filtra infatti circa
160-200
litri di sangue in un giorno. In tal modo una gran parte dell’Uranio
introdotto
nell’organismo viene escreto attraverso le urine. L’escrezione
dell’Uranio
è molto rapida all’inizio (circa il 70% della quantità introdotta è
escreta
nelle 24 ore), ma lentissima poi.
In
individui esposti all’Uranio per ragioni professionali è stato rilevato
che,
in
condizioni stazionarie, l’85 % dell’Uranio introdotto nell’organismo si
trova
nelle
ossa, il 13.5% nei reni e un qualche percento nel fegato. Da questi dati è
stato
possibile stimare per l’Uranio un’emivita biologica tra i 180 e 360
giorni.
Si
tratta tuttavia di valutazioni di massima. Sembra ad ogni modo assodato che
l’Uranio
introdotto nell’organismo segua due diverse cinetiche di eliminazione:
si
ha infatti una prima fase ad eliminazione più veloce (da 1 a 100 giorni di
emivita)
e una seconda più lenta (da 120 a 1500 giorni di emivita). Riferendosi
in
particolare alla frazione di Uranio depositato nei reni, ai fini pratici si può
prendere
un’emivita di 15 giorni: questo dato è di una certa importanza in
quanto
consente di stimare, a partire dai limiti di tossicità renale, i
corrispondenti
limiti di introduzione.
Si
ritiene unanimemente che, per elevate quantità di Uranio introdotte,
compaiano
prima i sintomi di intossicazione chimica (perdita della funzionalità
renale)
che di danno radiologico.
Ad
esempio, si calcola che la LD50
(dose letale
per il 50% della popolazione
esposta)
per gli esseri umani a causa della perdita della funzionalità renale in
seguito
all’inalazione di polveri solubili di Uranio sia inferiore a 1 g. Questi
dati
sono
indicativi, in quanto estrapolati da studi su animali.
L’incertezza
sui dati di tossicità (chimica) si riflette anche sui limiti
tossicologici
proposti dai vari ricercatori, associazioni e organismi di controllo.
A
titolo di esempio citiamo la situazione degli Stati Uniti dove il problema
degli
effetti dell’esposizione all’UI è assai sentito: si va infatti da un
limite
(giudicato
“sicuro”) di 3 mg/kg nel rene proposto da RAND, un’organizzazione
no-profit
legata all’U.S. Air Force (finanziata dal Dipartimento della Difesa), ai
limiti
più stringenti raccomandati dall’OSHA (Occupational Safety and Health
Administration)
pari a 750 mg/kg, o a quelli ancora più severi raccomandati da
alcuni
ricercatori dell’Oak Ridge Nationale Laboratory, pari a 300 mg/kg.
Se
l’effetto tossico sui reni è comunque assai ben documentato (pur nella
difficoltà
di stabilire unanimi “livelli di sicurezza”), più controverso è
l’effetto
dell’Uranio
come agente chimico cancerogeno: alcuni studi in vitro sembrano
supportare
questa ipotesi, accomunando quindi l’Uranio (e quindi anche l’UI)
ad
altri metalli pesanti con effetti cancerogeni. Tuttavia, a causa
dell’incertezza
su
questo particolare aspetto, trascureremo, nelle nostre valutazioni,
l’eventuale
cancerogenicità “chimica” dell’Uranio e riferiremo quindi il rischio di
induzione
tumori alle sole proprietà radioattive dell’Uranio.
A
questo proposito occorre però sottolineare una fondamentale differenza di
impostazione
che si deve tenere nella valutazione del rischio di tossicità renale
e
di radiotossicità (rischio radiologico): mentre sembra che, per la tossicità
renale,
al di sotto di una certa soglia si possa parlare di assenza di rischio, per
la
radiotossicità tale impostazione non è valida. Sono infatti note le
indicazioni
delle
varie istituzioni scientifiche internazionali (in primis l’International
Commission
on Radiological Protection) a favore del modello di rischio “lineare
senza
soglia”, secondo il quale quantità comunque piccole di radioattività
hanno
una certa probabilità di arrecare, a medio e lungo termine, danni alla
salute
umana.
FONTE
ESTRATTA DAL SITO DELL’ARPA PIEMONTE – DIPARTIMENTO DI IVREA
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Amianto,
un killer inestinguibile
MANUELA
CARTOSIO il manifesto 9.11.04
Nel 2025 l'asbesto avrà ucciso in Italia tra le 20 e le 30 mila persone
Eternit, cioè eterno come i tumori che provoca e continuerà a provocare. Gli
ammalati e i parenti delle vittime del mesotelioma hanno intrapreso un
difficile battaglia, per sé e per tutti noi esposti
Ha due nomi, entrambi derivati dal greco. Amianto
significa «incorruttibile», asbesto vuol dire «inestinguibile». Di qui il
neologismo eternit, passato dalla multinazionale svizzera che all'inizio del
Novecento brevettò la miscela di cemento e amianto
all'ondulato grigio che nel dopoguerra scalzò i coppi rossi dai tetti. Le
virtù vantate dai nomi si sono rovesciate in maledizione. L'amianto,
messo al bando in Italia nel 1992, continuerà a presentarci il conto per un
pezzo. Il picco dell'epidemia di tumori causati dal minerale usato come
isolante universale - dalle navi ai ferri da stiro, dai tetti ai freni, dalle
carrozze dei treni ai tessuti - è atteso attorno al 2025. A quella data si
stima che l'amianto avrà
fatto solo nel nostro paese tra i 20 e i 30 mila morti. La bonifica e la
demolizione dei siti produttivi, la rimozione dagli edifici dei rivestimenti e
dei tubi in cemento-amianto,
la distruzione o la messa in sicurezza dei manufatti all'asbesto procedono a
rilento. «In giro per l'Italia ci sono milioni di metri cubi di roba varia
con dentro l'amianto», dice
il senatore diessino Antonio Pizzinato, tra i promotori della conferenza
nazionale non governativa sull'amianto
che si terrà questo fine settimana a Monfalcone (vedi box). Quanti
esattamente non si sa. La mappatura completa dell'amianto
non è stata fatta. E' solo uno dei tanti ritardi sulla tabella di marcia
indicata dalla legge 257 del 1992. Non è stato fatto il registro nazionale
degli esposti all'amianto e
qualche regione non ha fatto neppure quello dei mesoteliomi, il micidiale
tumore alla pleura che con il carcinoma polmonare e l'asbestosi si accanisce
sui lavoratori che hanno inalato le fibre d'amianto.
Tutto cominciò a Casale... Il mesotelioma era un tumore
rarissimo. Un caso atteso su un milione di abitanti all'anno, secondo gli
epidemiologi. Nel 2003 l'ospedale di Casale Monferrato, che ha un bacino
d'utenza sotto i 100 mila abitanti, ha diagnosticato 32 nuovi casi di
mesotelioma. «E due terzi delle persone colpite non lavoravano all'Eternit»,
precisa Bruno Pesce, coordinatore dell'Associazione familiari vittime dell'amianto.
L'Eternit di Casale, chiusa nel 1986, ha un posto di rilievo nella storia
italiana dell'amianto e della
sua messa al bando. Lì si è cominciato a contare i morti e lì si è
celebrato il primo processo contro l'asbesto. Finito con una condanna
prescritta nel 2000 dalla Cassazione e un risarcimento di 7 miliardi di lire
da spartire tra 1.700 parti lese. Una miseria, rispetto all'enormità del
danno. Per evitare di pagare risarcimenti più consistenti - ricorda Pesce -
alla metà degli anni Ottanta l'Eternit italiana si dichiarò autofallita,
portò i libri in tribunale e chiuse gli stabilimenti a Casale, Melilli e
Bagnoli. La cava di Balangero, la più grande d'Europa, l'Eternit la chiuse
nel `90.
La multinazionale Eternit, però, continua a esistere. E i casalesi vogliono
portarla alla sbarra, sia in sede penale che in sede civile, con quella che
hanno battezzato «vertenzamianto».
L'esposto da presentare alla magistratura è già stato sottoscritto da oltre
1.400 cittadini, vittime dirette o loro eredi. All'azione civile parteciperà
anche il Comune di Casale: i costi della bonifica incidono pesantemente sui
suoi bilanci. In Brasile, uno dei maggiori produttori di asbesto dopo Cina,
Russia e Canada, l'Abrea - l'associazione degli esposti all'amianto
guidata dalla coraggiosa Fernanda Giannasi - due mesi fa ha ottenuto un
risarcimento di 160 milioni di dollari da Eternit, Brasilit e Eterbras. E' una
sentenza importantissima, commenta Bruno Pesce, ma anche in quel caso bisognerà
trovare il modo di risalire «agli svizzeri», la famiglia Schmidheiny che,
dopo aver fatto i miliardi con il cemento-amianto,
ha ceduto la rogna ad altre società investendo gli utili «nel cioccolato e
nelle banche». Pesce, fino a qualche anno fa segretario della Cgil, da quando
è in pensione lavora a tempo pieno «contro» l'amianto.
Il suo raggio d'azione spazia dal Brasile a Tiggiano, un piccolo paese del
Salento dove, quando l'intervistiamo, è appena andato per affrontare un altro
problema: tanti emigranti si sono beccati l'amianto
lavorando in Germania, in Svizzera, in Belgio e tornati in Italia si ritrovano
figli di nessuno.
C'è un particolare agghiacciante nel rapporto tra Casale e l'Eternit. Per
anni, quando già si sapeva che l'amianto
era una bomba a orologeria, l'azienda si è liberata del «polverino» - gli
scarti di lavorazione - regalandolo ai dipendenti e ai casalesi. E' tutto
finito nelle stradine, nelle soffitte, nelle cantine. E c'è ancora. Sarà per
questo «regalo» che a Casale muore di mesotelioma anche chi non ha lavorato
all'Eternit?
... e proseguì a Monfalcone A Monfalcone la polvere d'amianto
l'hanno respirata i lavoratori di Fincantieri. Nella piazzetta di Panzano, di
fronte all'ingresso dei cantieri, un monumento ricorda le vittime. L'epigrafe
di Massimo Carlotto dice tutto: «Costruirono le stelle del mare, li uccise la
polvere, li tradì il profitto». Dice tutto anche il titolo del libro del
professor Claudio Bianchi, Amianto,
un secolo di sperimentazione sull'uomo. E' il medico che, arrivato nei
primi anni Settanta all'ospedale di Monfalcone, «scoprì» tra i cantieristi
l'altissima incidenza di mesoteliomi. E' andato in pensione avendone censiti
circa 600. La latenza, correlata all'intensità e alla durata
dell'esposizione, varia dai 15 ai 40 anni. In alcuni paesi europei la curva
dei mesoteliomi sembra essersi assestata, smentendo le funeste previsioni di
crescita fino a 2025. In Italia non è così, forse perché l'amianto
è stato messo al bando solo nel `92. E' stato sostituito dalla lana di vetro
e di roccia o dalle fibre di ceramica. Tra vent'anni scopriremo se e quanto
fanno male. E sarà difficile stabilire, prevede il professore, «fin dove
arrivano i danni dell'amianto
e dove cominciano quelli delle materie con cui è stato rimpiazzato».
Meglio non sapere? Essendo il mesotelioma un tumore incurabile, è
utile monitorare tutti gli esposti all'amianto?
«Morire per morire, preferisco non saperlo in anticipo». Molti lavoratori la
pensano così, dice Michele Michelino, ex operaio della Breda Fucine di Sesto
San Giovanni, fondatore di uno dei comitati che hanno promosso «dal basso»
la conferenza di Monfalcone. A una trentina dei 350 ex lavoratori della Breda
visitati dalla Clinica del lavoro di Milano sono state riscontrate placche
pleuriche che potrebbero evolvere in tumori. Saranno ricontrollati ogni anno e
le loro condizioni psicologiche non sono delle migliori. «Non sappiamo se
questi monitoraggi serviranno o no», ammette il professor Bianchi, «siamo
costretti a continuare la sperimentazione». In Svezia, che sull'amianto
è avanti a noi almeno di vent'anni, si è visto che i costi psicologici del
monitoraggio sono effettivamente pesanti. D'altra parte, però, alimentazione
e fumo possono essere co-fattori del mesotelioma. Essere allertati in
anticipo, quindi, può essere utile.
Amiantizzati di tutto il mondo... Nei tre quarti di mondo ancora
amiantizzato il dilemma sui monitoraggi non se lo pongono. Essendo notoria la
sensibilità per la salute dei lavoratori e per l'ambiente di Russia e Cina,
vengono i brividi al pensiero che proprio loro sono i maggiori produttori di amianto.
Hanno strappato il primato al Canada che, non sapendo più a chi vendere il
suo amianto, ha rallentato la
produzione. Sulla situazione nell'ex patria del socialismo, fa testo quel che
in un congresso internazionale alcuni colleghi russi hanno detto al professor
Bianchi: «La sua relazione è molto interessante. Però da noi non succede.
Il nostro amianto è puro e
non fa male». La strada per mettere al bando l'amianto
- se ne parlerà a Monfalcone e alla fine del mese a Tokyo - è tutta in
salita.
L'unificazione dei processi Qui
da noi, la strada per ottenere giustizia per le vittime è un percorso a
ostacoli e dall'esito incerto. Di recente due processi, contro la Fibronit di
Bari e la Fincantieri di Riva Trigoso, sono finiti con una condanna. Ma le
assoluzioni - ultima quella della Breda ferroviaria di Pistoia - non mancano e
amareggiano malati e familiari delle vittime. La procura di Gorizia,
competente per Monfalcone, ha 600 fascicoli aperti per morti attribuite all'amianto.
Una cinquantina di vedove, come le madri Plaza de Mayo, hanno manifestato
tutti i giovedì perché siano celebrati i processi. Alla fine di ottobre, il
gup di Gorizia ha chiesto d'unificare nello stesso procedimento tutti le cause
Fincantieri. Alessandro Morena, autore di Polvere, pur vedendo il
rischio che i tempi si allunghino è convinto che l'unificazione
dell'inchiesta sia una novità positiva. Ottenuta grazie al protagonismo e
alla determinazione di donne consapevoli che i loro mariti «non sono morti
per caso». Il loro apporto ha rivitalizzato l'associazione esposti amianto,
«alle riunioni quando parlano loro non si sente volare una mosca».
Gualtiero Nardi, tubista per 35 anni alla Fincatieri di Monfalcone, cominciò
a star male quattro giorni dopo essere andato in pensione. Un anno dopo, la
diagnosi: mesotelioma. E' morto alla vigilia di Natale del `99. «Difendere
mio marito è l'unica cosa che mi tiene al mondo», dice Rita Nardi, «i
nostri uomini hanno sofferto come cani nell'indifferenza. Ora questa
sofferenza la portiamo noi». Fincantieri sarà anche «una potenza», ma deve
rispondere del perché ha tenuto gli operai a respirare amianto,
sapendo da decenni che faceva male. «Per un milione e mezzo al mese».
Amianto,
crimine di pace
MANUELA
CARTOSIO il manifesto 13.11.04
A Monfalcone una due giorni per chiedere la messa
al bando della sostanza nociva
Cenni di vita vissuta di coibentatori e portuali a contatto ogni giorno, e per
anni, con l'amianto, in cambio di quattro misere lire. E il risultato è una
vera e propria carneficina: dei 125 operai solo 4 sono rimasti attualmente in
vita
MONFALCONE «Troppe famiglie come la mia sono state
distrutte dall'amianto. Sono molto arrabbiata e ancora una volta urlo: vorrei
vedere la fine di questa tragedia, soprattutto per le nuove generazioni».
L'urlo di Romana Blasotti, presidente dell'Associazione vittime dell'amianto
di Casale Monferrato, ha chiuso la prima giornata della Conferenza nazionale
sull'amianto. Che si tiene a Monfalcone, unica città in Italia - e forse nel
mondo - ad avere un assessore all'amianto. E' una donna, Licia Morsolin, ex
dipendente di Fincantieri, l'azienda che ha regalato alla provincia di Gorizia
la più alta incidenza di tumori causati dall'amianto. Duilio Castelli ha
lavorato a lungo nella pancia delle navi in costruzione. Faceva il
coibentatore, era piccolo e magro e si intrufolava nei cunicoli per spruzzare
l'amianto. Nel 1970, quando gli diagnosticarono l'asbestosi, quasi quasi era
contento. Aveva fatto i debiti per comprarsi una casetta e due soldi
d'indennità gli facevano comodo. Allora non sapeva cosa fossero l'asbestosi e
il mesotelioma. «Ma lo scienza e le imprese lo sapevano da un pezzo che
l'amianto era un killer. E ci hanno tenuti all'oscuro». Duilio, a modo suo,
è un «salvato». Dei 125 coibentatori che lavoravano con lui solo 4 sono
ancora in vita.
Gli ex portuali di Trieste siedono in platea con indosso giubbotti
catarifrangenti. «Vogliamo comparire per non scomparire», ci spiega Aldo.
Lui e i colleghi triestini, andati in pensione prima della legge del '92, non
hanno goduto di alcun beneficio previdenziale. Per questo sono un po'
risentiti. «Noi ci tiravamo i sacchi di amianto puro, lo scaricavamo dalle
navi che venivano dal Sud Africa. L'amianto ci finiva anche in tasca, non è
giusto che la legge ci abbia tagliato fuori».Comunque, ci ha pensato
Berlusconi a mettere le cose a posto. La finanziaria dell'anno scorso non solo
ha diminuito e monetizzato i benefici. Di fatto, li ha resi inesigibili. Chi
vorrà averli dovrà dimostrare d'aver lavorato per dieci anni di fila in un
ambiente dove c'erano oltre cento fibre d'amianto per litro d'aria. Cosa
impossibile da dimostrare, perché nessuno misurava l'amianto. Di certo non lo
facevano i padroni. I portuali di Trieste, che lavoravano in cooperativa, non
hanno neppure un padrone con cui prendersela. Aldo ce l'ha con le «istituzioni»
che non hanno informato e controllato. Altri hanno ancora il dente avvelenato
con il sindacato: sulll'amianto si è mosso in ritardo, «temeva la perdita
dei posti di lavoro, pensava che gli operai si sarebbero rivoltati contro».
Sono solo alcuni cenni della «vita vissuta» che si addensa nella due giorni
di Monfalcone, promossa dal basso dall'Associazione esposti amianto e da Cgil,
Cisl e Uil per tappare il vuoto d'iniziativa del governo che, quando fa
qualcosa sull'amianto, fa male. La relazione di Fulvio Aurora ha puntualmente
fotografato lo stato dell'arte, toccando i quattro temi che saranno
approfonditi dalle commissioni di lavoro: salute ed epidemiologia, bonifiche,
legislazione e previdenza, l'amianto in Europa e nel mondo. Le cifre sono
pesanti: 3mila morti ogni anno in Italia, milioni di metri cubi di eternit da
rimuovere, «c'è ancora persino negli asili», fabbriche sigillate da vent'anni
con dentro ancora l'amianto puro. Guardando fuori dal cortile: i dieci paesi
appena entrati nell'Ue usano ancora l'amianto. Dovranno metterlo al bando
entro qualche anno, applicando una direttiva europea che sarà avanzata per i
paesi dell'Est, ma peggiora di molto la legislazione italiana preesistente. Ne
ha spiegato il perché Vittorio Agnoletto nella sua doppia veste di
parlamentare europeo e di medico del lavoro.
Le «vedove di Monfalcone» vogliono vedere «seduti su una sedia in tribunale»
i responsabili della morte dei loro uomini. Si sono battute per portare a
processo Fincantieri e ieri erano tutte orecchie per Felice Casson. Il pm
veneziano, senza far nomi, ha attaccato il «garantismo peloso e a senso unico»,
a vantaggio dei forti e a scapito delle vittime, di alcuni giudici di merito.
Per fortuna, «la Cassazione si muove in direzione opposta» e con alcune
sentenze ha messo in chiaro che il principio di precauzione non è un
optional. Anche prendendo per buono il ritornello «non sapevamo che facesse
male», le aziende erano tenute a prendere tutte le precauzioni a protezione
della salute dei lavoratori. Ad esempio: la polvere d'amianto andava abbattuta
anche prima che il minerale fosse messo al bando nel `92.
Alla fine del mese a Tokyo ci sarà il summit della campagna «Ban asbestos».
Se ne producono ancora 2 milioni di tonnellate all'anno; Russia, Cina e Canada
coprono due terzi della produzione. Un modo per convincere la multinazionali a
cessare la produzione potrebbe essere la «vertenzamianto» di Casale
Monferrato: un mega esposto penale, con risarcimento danni, contro la
multinazionale Eternit. Se le multinazionali saranno costrette a pagare forti
indennizzi, l'amianto costerà troppo e smetteranno di produrlo.
Amianto
sotto controllo
RED La Nuova Ecologia/web 15.11.04
Conclusa
la Conferenza di Monfalcone
Dalla
due giorni è emersa una proposta di emendamento alla legge finanziaria. Il
documento prevede l'istituzione di un Osservatorio itinerante permanente, che
segua Regioni e aziende nelle pratiche di registro degli esposti e in quelle
di bonifica. Sarà sul tavolo del governo tra due settimane.
Si
è conclusa con un duplice risultato la Conferenza nazionale sull’amianto,
dopo una due giorni di discussioni animate tra sindacati, governo, esperti e
soprattutto chi è direttamente coinvolto: i lavoratori dell’amianto riuniti
nelle Aea territoriali (associazioni esposti amianto), accorsi in più di
seicento a Monfalcone. Il primo obiettivo dell’appuntamento è stato
senz’altro quello di riportare all’attenzione nazionale la questione
amianto. La fibra killer, presente in Italia per ancora 32.000 tonnellate
certificate, ha già ucciso 4.000 lavoratori e ne colpirà molti di più da
oggi fino al 2020 (per alcuni esperti fino al 2030): altre 30.000 persone,
lavoratori e familiari, moriranno per amianto.
Ma la Conferenza, che non a caso si è svolta a Monfalcone, cittadina che
ospita l’ex Italcantieri, ha anche avuto il merito di riunire per la prima
volta attorno a un tavolo tutte le rappresentanze sindacali, le associazioni
esposti amianto di tutta Italia e gli esperti del settore – medici,
magistrati e tecnici – con un unico scopo: iniziare la fase di bando
definitivo dell’amianto dai luoghi di lavoro e dall’ambiente, la cui
conclusione è stata prevista entro 10 anni. Dal lavoro di quattro commissioni
tecniche è nata una proposta di emendamento all’attuale legge finanziaria,
che prevede l’istituzione di un Osservatorio itinerante permanente che segua
le Regioni e le aziende nelle pratiche di registro degli esposti e nelle
pratiche di bonifica. Tale proposta sarà presentata al governo entro due
settimane dal senatore Antonio Pizzinato, promotore dell’iniziativa e
presidente dell’associazione Alsole.
Il documento conterrà i principi guida che dovrebbero portare alla chiusura
della questione amianto: la valenza dei parametri previdenziali ai fini del
prepensionamento e non a scopi economici, l’assistenza gratuita a chi soffre
di malattie correlate all’asbesto, l’omogeneità dei trattamenti
previdenziali tra pubblico e privato e la considerazione dei settori marittimo
e militare, per ora esclusi dalla normativa. E ancora: la costituzione presso
il ministero del Lavoro di un gruppo tecnico che segua il settore delle
bonifiche e l’istituzione di norme per gli addetti a tale attività, il
riconoscimento degli effetti normativi indipendentemente dalla durata
dell’esposizione (oggi la legge considera solo chi è stato esposto per
oltre 10 anni), l’istituzione di un fondo per le vittime. L’assemblea si
è conclusa con un appuntamento per il 2005. Ritrovarsi ancora a Monfalcone,
triste patria onoraria della lotta all’amianto, per verificare l’impatto
del documento elaborato in questi giorni.
Amianto.
A Spalato fabbrica killer
MANUELA
CARTOSIO il manifesto 19.11.04
Sos dalla Croazia: aiutateci a mettere al bando
l'amianto. Subito
La Salonit di Spalato produce cemento-amianto e morti. 300, denuncia
l'Associazione esposti amianto. Il padrone della fabbrica è scappato in
Bosnia e chi ha contratto l'asbestosi è risarcito con duemila euro
Quando Veljko Mikelic racconta della Salonit di
Spalato, la reazione in Italia è sempre la stessa: «Come da noi negli anni
Sessanta». E' successo così anche a Monfalcone, alla Conferenza nazionale
sull'amianto dove Mikelic è intervenuto a nome dell'Associazione esposti
amianto di Spalato. Dal 1920 a Vranjic, un piccolo centro sulla costa a 5
chilometri dal capoluogo, la Salonit produce tubi e rivestimenti di
cemento-amianto. La fabbrica, privatizzata nel 1998, ora ha 260 dipendenti.
Negli anni della «Jugo», era arrivata ad averne più di mille. C'è il
marchio Salonit sui tetti di tutta l'ex Jugoslavia. Quello dell'asbesto si è
impresso nel corpo degli operai e degli abitanti della zona: asbestosi,
mesoteliomi e carcinomi ai polmoni. Con metodo empirico - «in base ai
funerali» - l'Associazione ha censito 300 vittime. In lista d'attesa per
entrare nella Ue, la Croazia sarà obbligata a mettere al bando l'amianto. Il
vincolo, quasi un test di civiltà, è ribadito da una direttiva del 2003. Per
accreditarsi a Bruxelles la Slovenia, uno dei dieci paesi accolti di recente
nella Ue, già nel 1996 aveva messo fuori legge l'asbesto e chiuso la sua
fabbrica di cemento-amianto a Nova Gorica. L'anno successivo l'aveva fatto la
Polonia, nel 2001 la Lettonia. Per gli altri sette nuovi entrati il bando
scatterà l'anno prossimo e dovranno ultimare la fuoriuscita dall'amianto
entro il 2009.
Prima o poi, quindi, la Salonit è destinata a chiudere. «Noi vogliamo che si
fermi subito», dice Mikelic, «regalare altri malati e altri morti a una
fabbrica killer è intollerabile». Invece, la produzione continua a tutto
spiano, su tre turni, e senza alcuna protezione per gli operai. I sindacati
tacciono, il loro unico obiettivo è evitare licenziamenti. «Se poi gli
operai muoiono, non è affar loro». Tutto questo succede quasi per inerzia,
in una fabbrica dove «non si sa chi comandi». Il padrone - l'ex
piastrellista Jozo Curcovik, «un puro criminale» - e il suo braccio destro
sono scappati in Bosnia per sottrarsi alla giustizia croata. Che li insegue
non per i danni arrecati alla salute dei lavoratori ma per reati
economico-finanziari. Nel 2000 un ispettore del lavoro di Spalato aveva
bloccato la produzione alla Salonit. Per punizione lo trasferirono «in
provincia». Nel 1998 lavoratori e familiari delle vittime hanno cominciato a
citare in giudizio la Salonit. Le prime cause si sono chiuse con indennizzi
appropriati, tra i 30 e 60 mila euro a seconda dell'entità del danno. Poi i
giudici, «su suggerimento di medici corrotti», hanno abbassato i
risarcimenti: 2 mila euro per un'asbestosi, una cifra offensiva. Anche ai
tempi della Jugo, ricorda Mikelic, i medici erano «influenzabili»: quelli di
Zagabria lanciavano l'allarme asbesto, quelli di Spalato minimizzavano.
In base all'accordo di «stabilizzazione e associazione» sottoscritto con
Bruxelles, la Croazia deve armonizzare le sue leggi con quelle dell'Unione. Il
ministero dell'economia ha fatto redigere il progetto di legge sull'amianto da
uno che se ne intende: un ex vicepresidente della Salonit. Il testo è così
brutto che l'Associazione esposti amianto, pur non essendo una potenza, è
riuscita a bloccarlo. Sulla scorta delle sue obiezioni il ministero per
l'integrazione europea ha dato parere negativo al progetto di legge. Un
piccolo successo che a Mikelic e soci non basta. «L'amianto in Croazia è
ancora un tabù, gode di troppe protezioni». Sull'amianto i partiti hanno una
posizione ondivaga: quando sono all'opposizione dicono una cosa, al governo ne
dicono un'altra. Una società civile quasi inesistente non presta attenzione
al caso Salonit. «Per questo dobbiamo internazionalizzare la lotta», dice
Mikelic, «far conoscere in tutta Europa che sull'altra sponda dell'Adriatico
c'è una fabbrica della morte». L'ultima scoperta dell'Associazione è che
una società danese progetta di costruire un porto turistico a Vranjic, una
volta chiusa la Salonit. Il suo recapito a Zagabria è lo stesso delle società
di Jozo Curkovic.
Basta amianto. Fuori
legge in 28 paesi M.CA. il manifesto 19.11.04
A
Tokyo in corso il summit della rete anti-asbesto
Questo fine settimana a Tokyo si tiene il Global
asbestos congress. E' l'appuntamento più importante per centinaia di
associazioni che si riconoscono nella parola d'ordine «Ban», Ban asbestos
now. Un obiettivo ambizioso, perché i paesi che hanno messo fuori legge il
minerale killer sono solo 28, quasi tutti in Europa salvo qualche «curiosa»
eccezione, come l'Arabia saudida, il Kuwait e il Gabon. A Tokyo non si
discuterà di quanto fa male l'amianto (le stime parlano di 100 mila morti
ogni anno). I danni sono acclarati almeno da mezzo secolo, anche se la lobby
dell'amianto si intigna a sostenere che esisterebbe un «amianto sicuro».
Tesi bocciata dalla Wto - è tutto dire - a cui si è appellato il Canada
quando la Francia ha bandito l'amianto e interrotto le importanzioni.
Tra i paesi produttori, dice Fulvio Aurora dell'Associazione esposti amianto,
il Canada è il più «sensibile» alle critiche dell'opinione pubblica e dei
governi europei, su di esso vanno concentrati gli sforzi perché smetta di
estrarre l'amianto. Con Russia e Cina, che hanno superato il Canada nella
classifica dei produttori, la battaglia è più ostica. Lì tutto è mistero;
i dati epidemiologici, se esistono, non sono pubblici. La miniera di asbesto
di Ak-Dovurac, nella repubblica autonoma di Tuva (Russia), è la più grande
del mondo. Basta vederla in fotografia, commenta Diego Alhaique, direttore
scientifico della rivista 2087, per capire che «le condizioni sono da
albori della rivoluzione industriale».
Nel 2000 si sono prodotti nel mondo 2 milioni di tonnellate di amianto, meno
della metà rispetto al picco massimo del 1978. L'effetto di un bando pur
parziale si è fatto sentire. I paesi poveri, stretti dal ricatto economico e
occupazionale, non riescono a emanciparsi dall'amianto. L'India continua ad
abbassare i dazi d'importazione. Proprio lì sta prendendo forza un movimento
per metterlo al bando «in tutta l'Asia». Ottima cosa. E' chiaro però che «la
protezione dei paesi ricchi si ottiene premendo su quelli più forti». E
sulle multinazionali, aggiunge Aurora, che non possono «rifarsi» sui paesi
poveri delle perdite subite nell'occidente ricco.
A Tokyo si festiaggia la vittoria dell'Abrea, l'Associazione brasialiana degli
esposti all'amianto. Dopo una lotta decennale ha ottenuto dall'Eternit 160
milioni di dollari di risarcimento per 2.600 vittime. E con l'Eternit Casale
Monferrato ha un conto in sospeso.
Liberazione
17.7.05
Eternit,
a Genova si riapre il processo per amianto. L'accusa: i vertici della
multinazionale conoscevano i rischi. Altri rocedimenti a Siracusa e Torino
I
morti accertati in Italia da amianto sono 2600, con centinaia di casi in
attesa di essere riconosciuti
L'udienza
del tribunale di Genova è fissata per il 19 luglio, dopo 19 anni il
fallimento Eternit non è ancora concluso perchè le vittime dell'amianto di
Casale Monferrato vogliono tenerlo aperto a tutti i costi. Chiedono
direttamente agli azionisti di riferimento dell'Eternit all'epoca - i fratelli
svizzeri Thomas e Stephan Schmidheiny - il risarcimento per circa 600 tra
malati e familiari delle vittime; nel 1993 hanno vinto un processo penale per
1711 ex lavoratori e loro familiari (con pene dai 6 mesi ai tre anni per i
vertici aziendali e un risarcimento di 7 miliardi di lire). Una battaglia che
la Camera del lavoro di Casale con l'Associazione familiari vittime amianto
promuove da quasi 30 anni (nel 2005 Cisl e Uil hanno promosso un altro esposto
per un centinaio di casi). A Bagnoli, Siracusa, Reggio Emilia, dove c'erano
gli altri stabilimenti dell'Eternit Italia, a Balangero, dove funzionava la
cava pi˜ grande d'Europa, sono ancora centinaia le persone in cerca di
giustizia. Di amianto si moriva al lavoro per tumore al polmone e si muore
oggi di mesotelioma a centinaia all'anno tra familiari e residenti nelle aree
contaminate.
I
guai giudiziari per Eternit non finiscono con un fallimento infinito. A Torino
il procuratore di Raffaele Guariniello, ha aperto nel settembre 2001 un
procedimento per omicidio colposo (con oltre 2000 domande di risarcimento),
un'inchiesta partita da Cavagnolo (To) sede di una società collegata ad
Eternit. L'inchiesta si è poi allargata ai lavoratori italiani in Svizzera
con un recente successo. L'Istituto nazionale svizzero di assicurazione contro
gli infortuni (Suva) dovrà consegnare alla giustizia migliaia di cartelle
cliniche di lavoratori italiani che fra il 1950 e il 1993 vennero in contatto
con l'amianto negli stabilimenti elvetici della Eternit a Niederurnen e
Payerne. Spetterà poi al giudice istruttore svizzero decidere il passaggio
dei dossier a Torino. Una vittoria di principio, ma non da poco. L'ente
svizzero, infatti, si era opposto alla rogatoria nel nome di "interessi
essenziali della Svizzera", una disposizione applicata soprattutto per i
segreti di Stato, ritenendo inammissibile che un'autorità federale venisse
controllata da un giudice straniero. Nel frattempo, un altro gruppo di legali
siciliani ha formulato un'altra richiesta di indennizzo al Tribunale si
Siracusa, per una somma pari a 118 milioni di euro (nei confronti di uno solo
dei fratelli Schmidheiny). A queste si sommano le denunce di 200 lavoratori e
familiari di Bagnoli.
L'accusa
delle associazioni delle vittime è da anni la stessa: i vertici aziendali
conoscevano dalla metà degli anni '70 la pericolosità mortale delle fibre
d'amianto per i lavoratori e per la salute pubblica, ma avrebbero rallentato
la dismissione delle produzioni per attutire i danni e trovare materiali
alternativi. Un'accusa pesantissima perchè nel frattempo i morti accertati in
Italia da amianto sono 2600, con centinaia di casi in attesa di essere
riconosciuti e altrettanti ammalati ogni anno. Una questione non solo
italiana. A metà settembre si svolgerà una conferenza europea sull'amianto
ospitata dal Gue al Parlamento europeo, promotore Vittorio Agnoletto che
chiarisce i due obiettivi dell'iniziativa: "Bisogna favorire la
cessazione della produzione e le bonifiche ambientali nei nuovi paesi
dell'Europa e dare vita finalmente a un fondo europeo per gli esposti,
lavoratori e cittadini, che aiuti anche l'equiparazione delle legislazioni dei
paesi in materia". Sullo sfondo il dibattito sulle responsabilità
d'impresa al centro dei progetti europei: "Quale migliore banco di prova
per l'Europa dell'amianto, con la sua devastazione sul piano della salute
pubblica, per dare un segnale su cosa significhi questa responsabilità
d'impresa", commenta Agnoletto. Le centinaia di migliaia di esposti
all'amianto e le aree di grande contaminazione riguardano Francia, Germania,
Belgio, Olanda, Spagna, diversi paesi dell'Est e l'Italia.
Dal
primo gennaio 2005 la produzione di amianto è totalmente vietata nell'Unione,
ma nel resto del mondo si produce ancora in condizione di scarsa sicurezza.
"Egitto, Sudafrica, India, Brasile, Uzbekistan, le società sono sempre
le stesse - spiega Fulvio Aurora di Medicina Democratica, impegnato dal 1989
sul tema - tanto che in Belgio il Parlamento ha chiesto la messa al bando
dell'amianto in tutto il mondo". Un paio di milioni di tonnellate
prodotte per 4mila morti all'anno secondo gli epidemiologi. In Italia i dati
Inail dichiarano 578 morti nel 2003 e centinaia di casi in attesa di essere
riconosciuti. Il picco, però, è previsto nell'Unione per il 2020 (con
200mila casi stimati da un'indagine europea), perchè la patologia più
incurabile per l'esposizione all'amianto, il mesotelioma, ha un'incubazione di
30/40 anni. Oltre a questa tipologia tumorale (100 casi all'anno in Italia
recensiti, di cui 35 a Casale Monferrato) ci sono i tumori al polmone dei
lavoratori. Bisogna intervenire al più presto sul lato della ricerca
scientifica e farmacologia con una spinta pubblica (gli ospedali di Casale e
Alessandria hanno appena promosso una Banca biologica per studiare il
mesotelioma, un buon inizio). E poi è urgente riconoscere le vittime
"civili" dell'esposizione. » quello che chiedono le diverse
Associazioni degli esposti all'amianto e dopo trent'anni di ragione nei
tribunali e nell'evidenza di centinaia di ricerche scientifiche, sarebbe bene
riconoscere il problema e attivare fondi e politiche prima che altri innocenti
si ammalino di un male ancora incurabile.
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I DANNI CAUSATI DALL'AMIANTO DELL'ETERNIT DI SIRACUSA
Tumori alla trachea, alla pleura, ai polmoni, ai bronchi. Secondo il Ministero, i dati del quinquennio 1995/99 confermano che i tumori alla pleura sono in relazione all'esposizione all'amianto. A Siracusa questa sostanza-killer era utilizzata nella fabbrica di Eternit, in contrada Targia, abbandonata nel 1992 con tutto il suo carico micidiale quando l'amianto fu dichiarato fuori legge. Mai un grammo di amianto della Eternit di Siracusa è stato smaltito in ditte autorizzate, nè prima nè dopo la chiusura. Dieci tonnellate di amianto giacciono sottoterra, nei sette ettari di terreno attorno allo stabilimento. Gli operai della fabbrica, costretti a respirare polveri omicide, sono stati minati nel corpo. Su cento, cinquanta di loro non ce l'hanno fatta, gli altri stanno patendo le sofferenze più atroci. Alla loro incolumità non pensarono i tredici dirigenti di contrada Targia, nè il fondatore della holding mondiale dell'amianto, lo svizzero Max Schmidheiny. Anche l'Eternit era di proprietà di uno straniero, un altro dominatore venuto qui per fare ricchezza e andarsene subito dopo, con la valigia piena, senza pagare i danni. Quando parlo di danni mi riferisco soprattutto a quelli contro la salute (per i quali la Eternit ha pagato alle famiglie delle vittime solo cinque miliardi di lire) e contro l'ambiente. Considerando che le fibre di amianto sono piccolissime e che la pericolosità della sostanza è direttamente proporzionale alla sua capacità di disperdersi nel territorio, di inalarsi, trovo assurdo che la fabbrica sia ancora lì, all'ingresso Nord di Siracusa, abbandonata, con tutti gli ingressi aperti, i vetri delle finestre rotti, i fogli di eternit sparsi ovunque, i sacchi di amianto in polvere bucati e alla mercè delle piogge, della fauna selvatica, di qualche ignaro malcapitato, ma anche del vento, che la disperde ovunque e la fa respirare agli abitanti di Viale Scala Greca(e non solo) e ai lavoratori vicini (Consorzio Nazionale Imballaggi, panificio Romico, Euromobili, Sirel, ecc). Un decennio non è bastato ad avviare la bonifica, ma è stato sufficiente a far continuare l'azione omicida dell'amianto. Lo smantellamento e la ricostruzione degli edifici scolastici contenenti amianto non ha alcun significato se nel contempo da Contrada Targia la sostanza-killer si disperde ovunque.
Il precedente documento è stato estratto da "Venti chilometri di morte e di paura di F.Morreale" del libro " IL PREZZO DELLA CRESCITA" a cura di Paolo Pantano - Editori VERBA VOLANT di Siracusa.
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ULTIMISSIME DAL CORRIERE DELLA SERA DEL 27 APRILE 2006: I LAVORI INIZIERANNO NEL 2010 DOPO LE VERIFICHE AMBIENTALI
Slittamento di due anni rispetto alle
previsioni iniziali
«Tav, i lavori nel 2010»
Presentato a Torino il rapporto dell'Ue.
Presidio in piazza . Altri quattro anni per le verifiche fanno
ripartire il dialogo
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TORINO, DAL NOSTRO INVIATO — Avvio lavori:
2010. Con uno slittamento di due anni rispetto alle previsioni
iniziali. «Per completare studi e approfondimenti sulla Tav
abbiamo davanti quattro anni. L'orizzonte di avvio dei cantieri
potrebbe essere il 2010». Parole di Loyola De Palacio,
coordinatrice dell'Ue per il corridoio 5 che ieri in prefettura
a Torino, davanti a una cinquantina di sindaci dei comuni
coinvolti, ha presentato il rapporto europeo sull'Alta Velocità
redatto dai cinque saggi comunitari. L'allungamento sui tempi
era già stato più o meno assorbito da tutti i calendari, ma da
ieri c'è l'ufficialità. Fuori dalla prefettura, con centinaia
di bandiere, si è dato appuntamento il popolo no Tav con la
stessa certezza di sempre nel cuore: «Quella ferrovia non si
farà». Due ore di incontro, di proposte. Alla fine Antonio
Ferrentino, presidente della comunità Bassa val di Susa, se ne
va soddisfatto: «Riparte il dialogo». E per la prima volta c'è
l'accordo con la Regione perché l'assessore ai Trasporti
Daniele Borioli ha accolto con favore la proposta dei sindaci di
sfilare la questione Tav dalla «legge obiettivo» (che prevede
procedure straordinarie senza coinvolgere gli enti locali). In
buona sostanza, vorrà dire aprire una conferenza di servizi con
il coinvolgimento diretto dei sindaci, quindi la valutazione
dell'impatto ambientale sull'intero progetto definitivo. Sul
punto la soluzione spetta al nuovo governo che entro la fine del
2006 o inizio 2007 deve arrivare anche a una decisione politica:
ovvero se l'Italia vuole o no la Tav, dopo che a giugno l'Ue
deciderà a quanto ammontano i finanziamenti 2007-2013.
Bruxelles ammonisce: niente ritardi per non perdere i fondi.
«La decisione va presa entro fine anno» precisa
Mario Virano, presidente dell'Osservatorio tecnico sull'Alta
Velocità, che diventerà operativo dopo l'attivazione del
tavolo politico deciso nel dicembre scorso. «Bisogna prendere
sul serio il lavoro dell'Osservatorio e non si può pensare che
sia solo un contentino per la Val di Susa» è la
raccomandazione di Chiamparino. A rendere il clima più disteso
durante l'incontro contribuiscono anche le affermazioni più
morbide della De Palacio: «Lo studio presentato è uno dei
tanti, e verrà messo a disposizione dell'Osservatorio tecnico»
che con queste parole ottiene il riconoscimento anche da parte
dell'Ue. Più fredda la reazione della base: «Va bene che si
faccia una valutazione dell'impatto ambientale, ma per noi non
cambia di molto — dice Lele Rizzo, portavoce del centro
sociale Askatasuna — perché noi vogliamo che venga inserita
nelle discussioni anche l'opzione che l'Alta velocità non si
faccia». Sulla Tav l'appello di Antonio Di Pietro, leader
dell'Italia dei Valori, è che «i partiti della coalizione non
prendano posizione perché ogni decisione sarà presa in sede di
governo». Guglielmo Epifani, segretario della Cgil sottolinea:
«Non siamo mai stati contrari alla costruzione della Tav, a
condizione che sia garantita la salute delle persone e la
partecipazione democratica». «Ora la priorità del nuovo
governo è dare una sterzata alla partecipazione democratica»
è il commento del presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio.
Per Rifondazione invece è nell'interesse di tutti potenziare la
linea già esistente.
Cristina Marrone
27 aprile 2006
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