UNA APPRONDITA RICERCA SUI VARI TIPI DI VIOLENZA (COMPRESA QUELLA INTRAFAMILIARE E SESSUALE) CHE STANNO COLPENDO NEGLI ULTIMI TEMPI IL MONDO INTERO
Violenza intrafamiliare: prospettive di conoscenza
1.1. l’origine della famiglia.
1.3. La monoliticità della famiglia nel contesto attuale.
1.4. La sottrazione consensuale di minorenni.
2. Le disposizioni “classiche” a contrasto della violenza intrafamiliare
2.1. La disciplina dei c.d. reati di violenza sessuale.
2.1.1. Collocazione sistematica
2.1.2. nozione di atto sessuale
2.1.2.1. Costrizione mediante violenza o minaccia
2.1.2.2. Costrizione mediante abuso di autorità
2.1.2.3. Costrizione mediante abuso della condizione di minorità
2.1.3. Gli abusi sessuali sui minori
2.1.3.1. Violenza sessuale su minore.
2.1.3.2. Atti sessuali compiuti su un minore consenziente.
2.1.3.3. Corruzione di minorenni
2.1.4. Violenza sessuale di gruppo
2.2.1. Nuove forme di riduzione in schiavitù.
2.2.2. Prostituzione minorile.
2.2.2.1. Induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile.
2.2.3. Atti sessuali con minore tra i 14 e i 16 anni in cambio di denaro o altra utilità.
2.2.4.1. Sfruttamento di minori per la realizzazione e produzione di materiale pornografico.
2.2.4.2. Commercio di materiale pornografico attinente ai minori.
2.2.4.4. Cessione di materiale pornografico attinente ai minori.
2.2.4.5. Detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater).
2.2.4.7. Circostanze aggravanti e attenuanti (art. 600-sexies) e pene accessorie (art. 600-septies).
2.2.4.8. Tratta di minori (art. 601).
2.2.5. Disposizioni processuali
2.2.5.1. l'incidente probatorio per l'audizione del minore.
2.2.5.2. L’audizione del minore in dibattimento
2.2.5.3. La procedibilità dei delitti contro la violenza sessuale
2.2.5.4. Fatto commesso all'estero (art. 604).
2.2.5.6. utilizzabilità da parte di organismi specializzati di polizia
2.2.5.7. Coordinamento a livello europeo e internazionale
2.2.5.8. Il decreto urbani e quello sui tabulati telefonici.
3. La nuova legge n. 154 del 2001 contro gli abusi domestici e familiari
3.1.1.2. La misura patrimoniale provvisoria del pagamento periodico di un assegno di mantenimento.
3.1.2. La normativa civilistica.
3.1.2.1. Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari.
3.1.2.1.1. La procedura per l'adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.
Violenza intrafamiliare: prospettive di conoscenza
Per poter affrontare correttamente il tema della violenza intrafamiliare e non limitarsi ad esporre, per altro ad un uditorio indifferenziato dal punto di vista delle qualifiche professionali, le problematiche giuridiche, occorre spendere qualche parola sulla “struttura” famiglia e sulla sua evoluzione attraverso secoli di regolamentazione giuridico-sociale.
Di struttura e regolamentazione della famiglia, nel senso moderno dell’accezione, si può parlare in diritto solamente a partire dal tardo impero, atteso che tutta la regolamentazione contenuta nella legislazione romana, dai rapporti di ereditari a quelli di matrimonio e quelli di filiazione, era rivolta verso l’esterno e non verso l’interno della famiglia; in effetti, nel diritto romano la famiglia era considerata un blocco monolitico e presa in esame nel suo insieme, prescindendo dai suoi componenti. In quest’ottica ci si interessava unicamente dei rapporti interfamiliari, cioè tra i patres e non anche dei rapporti tra i singoli componenti della famiglia. Questi ultimi, infatti, regolamentati, in un primo momento, secondo il principio del potere assoluto del pater, solo nel tardo impero e precipuamente con l’avvento del cristianesimo si evolvono verso una regolamentazione ispirata dal principio della soggettività dei singoli appartenenti al nucleo, ai quali venivano riconosciuti diritti avulsi da quelli del pater e che potevano anche essere in contrasto con i diritti ed i poteri di quest’ultimo.
Se non si parte da questo presupposto non si riesce a comprendere perché vi siano, ancora oggi, resistenze rispetto al riconoscimento dell’illiceità di fatti che posti in essere in altri contesti sono pacificamente visti dall’opinione pubblica come riprovevoli.
Il delitto di abuso dei mezzi di correzione e disciplina presuppone un uso consentito e legittimo dei mezzi correttivi e non è configurabile, per mancanza dell'elemento materiale, se viene utilizzato il potere di correzione o di disciplina al di fuori dei casi consentiti o con modi di per se illeciti o contrari allo scopo educativo, quali devono ritenersi gli atti di violenza fisica o quelli lesivi dell'equilibrio psicologico del soggetto passivo[1].
La persistenza di un delitto, quale quello previsto dall’articolo 571 c.p., che non solo sanziona più lievemente alcuni comportamenti in relazione alla sua funzione – pseudo educativa ‑ rende evidente il presupposto su cui si basano le relazioni intrafamiliari nel nostro ordinamento giuridico e, inoltre, mostra con chiarezza il lungo cammino percorso per addivenire all’attuale disciplina e quanto vi sia ancora da fare per raggiungere l’obiettivo di una regolamentazione dei rapporti familiari basata effettivamente sul riconoscimento della soggettività giuridica di tutti i componenti della famiglia stessa.
Infiniti sono gli altri esempi di monoliticità della famiglia nel contesto giuridico attuale, essi vanno dalla regolamentazione del diritto successorio, alla non ingerenza dello Stato nel rapporto educativo, alla stessa regolamentazione dell’adozione e della procreazione assistita: tutte norme dominate da un unico comun denominatore “la tutela della famiglia viene posta in primo piano e di fronte ad essa debbono cedere i diritti dei singoli componenti o quanto meno le loro legittime aspettative”. Vi è di più, questa concezione monolitica della famiglia si sviluppa e si fortifica attraverso disposizioni che tendono a renderla non permeabile dall’esterno. Si pensi alla facoltà di astenersi dal testimoniare concessa al prossimo congiunto ed alla non configurabilità del reato di favoreggiamento commesso in favore del padre, della madre, del marito, del fratello ecc. è come se il legislatore dicesse: “cittadino, ti impongo doveri anche di solidarietà sociale, ma questi non valgono se sono contrapposti all’interesse della famiglia” il tutto con buona pace del dovere di solidarietà sociale, dal quale discendono tutti i diritti ed i doveri civici del cittadino, previsto dall’articolo 2 della Costituzione.
Si potrebbe, rispetto ad una diversa disciplina, facilmente obiettare che la regolamentazione attuale discende da un principio indefettibile, connaturato alla stessa essenza dell’essere umano, quello della inesigibilità. È inesigibile la testimonianza (negativa ovvero che comporta situazioni deteriori) del prossimo congiunto, così come è inesigibile un dovere di solidarietà sociale che si ripercuota negativamente sui membri più stretti della famiglia. La prodigalità è stata sempre e rimane regolamentata come causa di interdizione[2] e viene considerata alla stessa stregua dell’uso di bevande alcoliche o di stupefacenti. La disciplina, poi, dell’inabilitazione per prodigalità, contiene una ulteriore affermazione che ai nostri fini appare pregnante: per essere rilevante, la prodigalità (l’uso di sostanze alcoliche e/o stupefacenti) debbono esporre a gravi pregiudizi economici “sé stesso o la famiglia”. Com’è evidente vi è un completo annullamento dell’individuo all’interno della famiglia ed una confusione degli interessi (quanto meno economici) di questi con quelli della famiglia: nessun rilievo ha l’eventuale stato di benessere del soggetto prodigo, la sua maggiore realizzazione attraverso atti di prodigalità, in definitiva il componente della famiglia deve operare nell’arco di tutta la sua vita in funzione dell’interesse di quest’ultima.
È questa, forse, la chiave di lettura di tutta una serie di eventi che hanno caratterizzato la nostra società: da tangentopoli alla mafia, dalla carenza di servizi alle persone al ristagno dell’economia.
Interessante è, anche, sotto il profilo della monoliticità della famiglia e del suo discostarsi e/o scontrarsi con la volontà del singolo componente, la previsione dell’articolo 573 del codice penale (Sottrazione consensuale di minorenni) ove si può verificare una preminenza della volontà genitoriale rispetto a fatti personalissimi del soggetto, anche nell’ipotesi in cui il minore si sia allontanato volontariamente insieme ad altro minore, con la conseguenza che a carico di uno solo dei due o di entrambi ‑ a seconda che a presentare la querela siano i genitori di entrambi i soggetti minorenni coinvolti o uno solo di essi ‑ può ipotizzarsi una fattispecie criminosa che prevede pene detentive anche abbastanza severe. Il tutto in assenza di una volontà rilevante del minore degli anni 18, ma maggiore degli anni 14, lasso di età che in altre ipotesi (si pensi agli atti sessuali tra minorenni di cui all’articolo 609-ter c.p.) comporta una non ipotizzabilità di reati ben più gravi ed incidenti su sfere molto più invasive.
La situazione, sebbene giuridicamente corretta, sembra assurda se si pensa che la querela può essere presentata dal genitore anche in contrasto con la volontà del minore, ovvero da un singolo genitore in disaccordo con l’altro. È evidente come, in questa ipotesi si possa perpetrare una violenza da parte del genitore nei confronti del figlio quando il primo è in disaccordo con il secondo nella scelta del patner di quest’ultimo, la violenza, poi, si perpetra anche nei confronti del pater in disaccordo sulla proposizione della querela, il quale è costretto a subirla e non è legittimato neanche a chiedere l’intervento del giudice come in tutte le altre ipotesi in cui vi sia disaccordo tra i genitori sull’educazione del minore.
Esaminato il quadro giuridico‑istituzionale in cui ci si muove quando si parla di rapporti familiari, si deve, a questo punto osservare che a partire dagli anni settanta si è avuta una presa di coscienza dell’esistenza di rapporti violenti all’interno della famiglia, presa di coscienza che ha generato un movimento di opinione che, a sua volta, ha indotto il legislatore a modificare l’obiettivo (tecnicamente la l’oggetto della tutela giuridica) di alcune norme – precipuamente quelle in tema di violenza sessuale – adattandolo alla nuova sensibilità sociale. Nascono, così, le norme contenute nella legge 66 del 1996 – modifica ai reati sessuali ‑, quelle relative al c.d. turismo sessuale (legge 2269 del 1998) e, infine quelle che consentono l’allontanamento del coniuge violento dal domicilio coniugale.
Dopo un iter legislativo durato quasi venti anni, la legge n. 66 del 1996, pur non recependo compiutamente le istanze che si erano manifestate nel corso di un ventennio di dibattito, ha innovato la formulazione dei reati in tema di libertà sessuale trasformandoli da "reati contro la moralità pubblica e il buon costume", in "reati contro la persona", e, recependo istanze di maggiore protezione della vittima della violenza sessuale, ho modificando l’ottica dell’intervento legislativo accordando una maggiore protezione della persona ed ai suoi diritti personalissimi. Conseguentemente i delitti di violenza sessuale (art.609-bis), di atti sessuali con minorenne (art.609-quater), di corruzione di minorenne (art.609-quinquies) e di violenza sessuale di gruppo (art.609-octies) sono stati inseriti nel titolo XII (Delitti contro la persona) e precisamente nell'ambito della sezione relativa ai delitti contro la libertà personale, modificandosi, in tal modo l’interesse tutelato dall’ordinamento che diventa interesse della vittima alla propria libertà personale ed in particolare alla propria sessualità.
Ulteriore conseguenza della modifica alla collocazione sistematica è stata, da una parte l'elevazione delle sanzioni conseguente ad una maggiore rilevanza dell'interesse tutelato e, dall’altra l'eliminazione di distinzioni – ad esempio quella tra atti di libidine e violenza carnale ‑ non più giustificate ove si consideri che la tutela della libertà personale è comunque coartata ‑ e l'abolizione di fattispecie – il ratto a fine di libidine e a fine di matrimonio ‑ che ora rientrano pienamente nella previsione dell'art. 605 in concorso con il delitto di violenza sessuale.
Altri punti qualificanti della riforma sono da ravvisare nel deciso ridimensionamento delle ipotesi di violenza sessuale presunta, ormai limitate ai rapporti sessuali con il minore di 14 anni (o di 16 anni in presenza di relazioni qualificate con l'autore del fatto), e soprattutto nella effettiva considerazione - tradottasi nelle modifiche all'art. 398 c.p.p. - delle esigenze dei minori vittime di violenza sessuale, in un processo che fino al 1996 non conteneva alcuna previsione finalizzate ad adattare i meccanismi processuali alle peculiarissime esigenze di un bambino.
L'attuale normativa ha, come si è detto, eliminato la distinzione tra atti di libidine e violenza carnale stabilendo la punibilità di "chiunque costringe taluno a compiere o subire atti sessuali". Tale formulazione (in sintonia, come si è detto, con la nuova collocazione sistematica) nelle intenzioni dei compilatori avrebbe dovuto rendere meno penoso per la vittima il racconto della violenza subita, non dovendo più il giudice stabilire, proprio in base a tale racconto, la fattispecie applicabile.
La norma, ricalcando la vecchia formulazione, prevede innanzitutto che la costrizione a subire o compiere atti sessuali derivi da "violenza o minaccia". Proprio tale dizione, che comporta inevitabilmente nella vittima "l'onere di resistere", ha in passato legittimato lo svolgimento dei processi per violenza sessuale come processi alla vittima, finalizzati cioè ad accertare se la violenza o la minaccia poste in essere fossero state idonee a piegarne la volontà. Si deve dire, però, che anche in presenza della nuova previsione legislativa non è dunque sufficiente dimostrare che la vittima non sia stata consenziente, occorre provare che la stessa sia stata costretta con violenza o minaccia, dunque che abbia tentato di resistere ma non vi sia riuscita.
Nell'ambito della costrizione mediante induzione vanno compresi: - l'abuso di autorità, l'abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima, l'inganno consistente nel sostituirsi, all'insaputa della vittima, ad altra persona. Prevedendo esplicitamente che tra le condotte che possono coartare la volontà della vittima vi è anche l'abuso di autorità, il legislatore ha compiuto una scelta apprezzabile.
L'abuso può riguardare oltre che una posizione potestativa pubblica (ad es. il funzionario di polizia che abusa sessualmente della persona indagata o il dirigente che abusa dell'impiegato o l'insegnante scolastico che approfitta dell'allievo, o il medico che circuisce il paziente) anche rapporti privatistici: e così si può configurare l'abuso di autorità in ambito familiare (ad esempio rapporti tra padre e figlia[4]), o da parte del datore di lavoro sul dipendente, o dell'insegnante privato sull'allievo.
Anche con riferimento alle persone in condizioni di inferiorità fisica o psichica sono state eliminate le ipotesi di violenza presunta stabilite dalla precedente normativa, riconoscendo così anche ai malati di mente e ai portatori di handicap il diritto alla sessualità. L'innovazione normativa rappresenta dunque un cambiamento radicale nella materia, in quanto il compimento di atti sessuali con soggetti al momento del fatto affetti da handicap fisico o psichico è ormai sanzionato soltanto quando l'autore abusa delle loro condizioni di inferiorità. L'abuso dovrà dunque ritenersi sussistente o allorquando il soggetto non è assolutamente in grado di autodeterminarsi (es. soggetto in coma) o quando l'agente approfitti dei bisogni o dei timori connessi all'infermità della vittima per indurla ad un atto sessuale (ad esempio si approfitta della dipendenza da eroina di una persona in crisi di astinenza per ottenere una prestazione sessuale, o dell'infermità mentale di una persona, prospettandole ad esempio timori inesistenti, per indurla ad atti sessuali).
La disciplina riservata dalla nuova normativa agli atti sessuali compiuti su minori è particolarmente articolata: l'art. 609‑ter, prevede un aggravamento di pena se la violenza sessuale, nelle sue connotazioni sopra descritte, è commessa in danno di minori. Tali aggravamenti di pena riguardano dunque gli atti sessuali compiuti sul minore con violenza o minaccia o abuso di autorità (tipico il caso del genitore che, abusando della sua autorità nell'ambito familiare, costringe il minore a subire atti sessuali). L'aggravamento massimo (da sette a quattordici anni di reclusione) nonché la procedibilità d'ufficio sono previsti quando la violenza, la minaccia o l'abuso di autorità siano stati esercitati su minori di 10 anni (si pensi ai casi purtroppo frequenti di abusi intrafamiliari commessi su bambini in tenera età, o ai casi - recentemente riportati anche dalle cronache - di insegnanti, bidelli, sanitari, amici di famiglia che abusano di bambini piccolissimi).
Un aggravamento di pena, sia pure in misura minore (da sei a dodici anni), è anche previsto per la commissione di abusi sessuali sul minore che abbia compiuto i 10 anni ma non ancora i 14, ovvero sul minore che non ha compiuto ancora i 16 anni quando la relazione con l'autore del fatto sia particolarmente qualificata (padre anche adottivo, ascendente, tutore). L'ordinamento mostra pertanto di ritenere connotato da maggiore gravità il comportamento di tali soggetti, che dovrebbero rappresentare per il minore una guida ed un supporto e non certo trasformarsi in abusanti. Conseguentemente riconosce una maggiore tutela al minore elevando l'età nell'ambito della quale la sanzione è aggravata e sancendo altresì la procedibilità d'ufficio.
Allorquando invece il minore non viene costretto ma è oggettivamente consenziente agli atti sessuali commessi (ad esempio a seguito della promessa di denaro) la fattispecie applicabile è quella prevista dall'art. 609-quater e il confine tra il lecito e l'illecito è determinato dall'età: il fatto costituisce reato solo se il minore non ha ancora compiuto i 14 anni; di regola si procede a querela salvo il caso in cui il minore abbia meno di dieci anni, caso in cui è anche previsto un aggravamento di pena (art. 609-quater, u.c.). Se poi autore del fatto è il genitore o l'ascendente, o il tutore o l'affidatario, o persona convivente con il minore, i rapporti consensuali costituiscono reato sempreché il minore non abbia ancora compiuto i 16 anni. In presenza di tali relazioni qualificate tra abusato e abusante si procede d'ufficio e la pena è anche in questo caso aggravata se il minore ha meno di dieci anni.
Si ritiene in definitiva che in presenza di rapporti particolarmente coinvolgenti (genitore, convivente, affidatario per ragioni di cura o di istruzione...) il minore possa essere facilmente suggestionato e non sia quindi sufficiente, perché il suo consenso possa ritenersi liberamente e consapevolmente prestato, il grado di sviluppo e di maturità che si raggiunge abitualmente a 14 anni ma sia necessario il livello di consapevolezza tipico dei 16 anni. Diversamente il fatto sarà punibile ai sensi dell'art. 609-quater.
In tutte tali ipotesi di atti sessuali con minore consenziente è prevista un'attenuante speciale per i casi di minore gravità, per la quale si richiamano le considerazioni già svolte a proposito dell'analoga attenuante prevista per la violenza sessuale (art. 609-bis, 3° co.).
Infine, se il minore ha superato i 14 anni non si configura alcuna ipotesi di reato per "l'estraneo" che abbia con lui rapporti consensuali; e se ha superato anche i 16 anni, non è sanzionato neanche il caso di rapporti sessuali con il genitore con il tutore, con l'affidatario o con persona convivente con il minore.
Al termine del confronto è stata, ovviamente, adottata una soluzione di compromesso confermando la punibilità degli atti sessuali commessi nei confronti di un minore di 14 anni pur se consenziente (analogamente a quanto prevedeva l'art. 519, co.2, n.1), con l'unica eccezione rappresentata dalla introduzione di una causa di non punibilità per i rapporti consensuali tra minorenni allorquando il più piccolo abbia almeno compiuto 13 anni e non vi siano più di 3 anni di differenza con il partner.
La legge, dopo aver abrogato l'art. 530, ha ridisegnato i confini del delitto di corruzione di minore in termini riduttivi: innanzitutto ha ristretto l'ambito della tutela ai soggetti minori di 14 anni (coerentemente con quanto stabilito dall'art. 609-quater che ha riconosciuto una valenza, salvo il caso di relazioni qualificate con l'autore del fatto, al consenso prestato da che ha già compiuto i quattordici anni), ha, poi, sanzionato il compimento di atti sessuali in presenza di una persona minore di 14 anni con il fine di farla assistere, tanto in considerazione del fatto che la diversa previsione degli atti sessuali compiuti su minore di 14 anni consenziente, è già contenuta nell'art. 609-quater, mentre l'ipotesi degli atti sessuali consensuali su maggiore dei 14 anni risulta ormai depenalizzata (salvi i casi di relazioni qualificate con l'autore del fatto)[5].
Sebbene non strettamente connesso con il tema che ci interessa, considerato quanto si dirà in tema di disposizioni processuali, appare necessario spendere qualche parola, non fosse altro, per definirla, sulla
Con l'art. 609-octies è stata introdotta una nuova ipotesi di reato che punisce la partecipazione di più persone riunite ad atti di violenza sessuale (e quindi ai comportamenti previsti dall'art. 609-bis). Si tratta evidentemente di un reato a concorso necessario nel quale è richiesta la simultanea presenza, al momento e nel luogo della violenza sessuale, di almeno due persone (correità in fase esecutiva). Ai fini della configurabilità del reato è indifferente che tutti o solo alcuni dei partecipi compiano atti sessuali: si configura la violenza di gruppo anche se solo uno dei concorrenti ha abusato sessualmente della vittima. La norma fa riferimento alla partecipazione, da parte di più persone riunite, al compimento degli atti sessuali previsti dall'art. 609-bis.
Conseguentemente si avrà violenza di gruppo non solo quando più persone costringano la vittima a subire atti sessuali con violenza o minacce, ma anche quando la sottomettano con abuso di autorità o approfittando della sua condizione di minorità. Inoltre non potrà parlarsi di violenza di gruppo nel caso in cui vengano commessi, da più persone riunite gli atti previsti dall'art. 609-quater, e cioè nel caso in cui un minore degli anni 14 compia consensualmente atti sessuali con più persone riunite.
Da alcuni anni si è percepita la crescente diffusione del fenomeno degli abusi sessuali sui minori manifestatosi anche con episodi di sfruttamento sessuale dei bambini su larga scala, che hanno evidenziato un prolifico mercato del sesso che ha come destinatari soggetti affetti da devianze sessuali e come vittime adolescenti e bambini di ogni razza.
I fenomeni più imponenti sono rappresentati da un lato dalla prostituzione minorile, dall'altro dalla pornografia minorile, cioè dalla divulgazione di immagini di ragazzini nudi in pose provocanti o nell'atto di congiungersi con adulti.
In quest’ottica, però occorre non dimenticare l’antica piaga della prostituzione e, in particolare le ipotesi di induzione alla prostituzione del coniuge, ipotesi dimenticate dai più, ma che assumono nuove forme nel contesto sociale attuale, anche se hanno la loro causa in mali antichi (povertà e privazione sociale) per i quali ci si ostina a non trovare rimedi, assistendo – impotenti – a fenomeni di depravazione della vita familiare dovuti a tali cause le quali, per altro, non sono considerate nemmeno aggravanti quando a commettere il reato sia uno dei coniugi nei confronti dell’altro.
La legge, che ha introdotto i reati in oggetto, si ispira, con tutta evidenza, ai principi contenuti nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo che tutela il diritto dei minori ad un libero e naturale sviluppo fisico, psicologico, spirituale e morale contro ogni forma di sfruttamento e di violenza sessuale, essa, però, ‑ come si avrà modo di verificare in seguito ‑ contiene delle manifestazioni di schizofrenia legislativa, aggravate da alcuni recenti provvedimenti[6].
In applicazione di tale principio sono state introdotte specifiche disposizioni che sanzionano lo sfruttamento della prostituzione minorile, la pornografia minorile anche nell'insidiosa diffusione telematica e il cosiddetto turismo sessuale, diffuso soprattutto verso l'Oriente, in vista di "esotici incontri" con adolescenti e bambini. Tali illecite condotte sono considerate dal legislatore le nuove forme di riduzione in schiavitù, tanto al fine di dare un deciso impulso nella repressione di tali gravissime condotte, svincolandosi in tal modo dall'interpretazione giurisprudenziale restrittiva in tema di riduzione in schiavitù e prevedendo, a tutela dei minori, nuove e specifiche ipotesi di reato, che in parte sanzionano comportamenti in precedenza inquadrati sotto altre fattispecie, in parte delineano nuove aree di intervento penale.
Delle disposizioni processuali introdotte per agevolare la perseguibilità dei nuovi delitti, della loro utilizzabilità da parte di organismi specializzati di polizia con particolari poteri grazie ai quali potranno contrastare più efficacemente tali forme di criminalità, dell'adozione di misure di tutela e reinserimento dei minori e del coordinamento a livello europeo e internazionale, si avrà modo di dire in seguito; qui occorre brevemente dire della:
La nuova previsione ha modificato radicalmente il sistema sanzionatorio previsto dalla legge Merlin per la prostituzione minorile, trasformandola da circostanza aggravante in autonomo titolo di reato: la legge n. 269 del 1998, infatti, ha soppresso la previsione di aggravante contenuta nella legge n. 75 del 1958, art. 3 ed ha introdotto un'autonoma previsione di reato stabilendo per chi induce alla prostituzione un minore degli anni 18 o per chi ne favorisce o sfrutta l'attività una sanzione più pesante, ma soprattutto sancendo l'impossibilità di azzerare il maggior rigore connesso alla prostituzione minorile con la semplice concessione delle circostanze attenuanti generiche e precludendo ogni ipotesi di patteggiamento.
Tale operazione di rivisitazione è stata fatta attraverso la selezione delle condotte più significative (induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile) in ordine alle quali vanno sicuramente richiamati i concetti univocamente applicati dalla giurisprudenza formatasi sulla legge Merlin, ma pene ancor più severe sono poi previste dall'art. 600-sexies c.p. in relazione alla sussistenza di circostanze aggravanti che fanno riferimento alle qualità soggettive dell'autore del reato (genitore, coniuge o convivente del genitore, coniuge, determinati parenti e affini, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle funzioni, persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione o custodia); alle qualità soggettive della persona offesa (minore infraquattordicenne, tossicodipendente o in stato di infermità o minorazione psichica anche provocata); alle modalità violente della condotta (costrizione con violenza o minaccia).
È proprio questa considerazione apprestata dal legislatore alla posizione del soggetto passivo minorenne e la considerazione che le condotte siano più gravi quando commesse all’interno del nucleo familiare a farci ritenere che la normativa in questione debba essere, in prospettiva, quella cardine in tema di violenza intafamiliare, violenza, che però, fin da ora è bene ribadire, non può limitarsi ad essere esaminata solo con riferimento all’aspetto sessuale, ma va vista anche in prospettiva della violenza altrimenti diretta e, in particolare, sotto l’aspetto della violenza psicologica.
Quest’ultima, invero, non appare sufficientemente esplorata né dal legislatore, né dalla coscienza comune, tant’è che continuamente si parla di violenza sessuale, ma poco si affrontano i temi della violenza psicologica.
La legge ha poi disposto, per l'induzione, il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione minorile, l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza, non prevista invece, attesi i limiti edittali, per nessuna delle ipotesi di cui alla legge Merlin, neanche nella forma aggravata.
Assolutamente innovativo è il secondo comma dell'art 600-bis c.p. che punisce con una pena alternativa, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in cambio di denaro o di altra utilità, compia atti sessuali con un minore di età compresa fra i 14 e i 16 anni.
La delimitazione a tale fascia di età deriva dalla ovvia circostanza che se il minore ha meno di 14 anni (o di 16 nel caso in cui il fatto sia commesso dal genitore, dal convivente o dall'affidatario), la disposizione applicabile è quella, ben più grave, prevista dall'art. 609-quater c.p. che fa riferimento agli atti sessuali compiuti con minori di 14 anni in assenza di ogni forma di costrizione o abuso, e dunque anche in vista della corresponsione di somme di denaro.
La previsione che la norma si applica unicamente laddove il fatto non costituisca un più grave reato porta invece ad evidenziare che se il rapporto sessuale con un minore tra i 14 e i 16 anni avviene non in cambio di denaro ma ad esempio facendo leva sul suo stato di tossicodipendenza, prospettandogli in cambio l'offerta di una dose di sostanza stupefacente, la norma applicabile sarebbe quella di cui all'art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1 in concorso con il delitto di cessione di sostanze stupefacenti.
La previsione del nuovo delitto dovrebbe costituire un deterrente al proliferare della prostituzione minorile introducendo la perseguibilità del "cliente" laddove la persona che si vende sia di età compresa tra i 14 e i 16 anni.
La norma, però, si presta a qualche interpretazione, a dir poco inconcludente, atteso che l'art. 600-bis c.p. non è stato richiamato dall'art. 609-sexies c.p. ai fini dell’esclusione della rilevanza dell’ignoranza dell'età della persona offesa.
Strettamente collegata alla norma sulla prostituzione minorile è quella prevista dall'art. 600-ter c.p. intitolato "pornografia minorile". La norma raggruppa una serie di condotte, non certo omogenee, che danno luogo a vari problemi di interpretazione, ma rappresenta un salto di qualità rispetto al senso comune di violenza nei confronti dei minori, atteso che sanziona comportamenti che violenti possono non essere, introducendo un concetto educativo rappresentato dal dovere di non inizializzare i minori a pratiche che non appaiono consoni alla loro formazione.
Appare opportuno esaminare, sia pur brevemente, anche in considerazione del contesto operativo, le varie fattispecie.
La norma (art. 600-ter c.p.) ricalca l'art. 34 della Convenzione di New York nella quale gli Stati si impegnano ad adottare "ogni adeguata misura a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire...che dei fanciulli siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico" e introduce esplicitamente nel nostro codice la nozione di pornografia, in precedenza sanzionata nell'ambito delle pubblicazioni e degli spettacoli osceni, come una fattispecie più ristretta di questi: la Cassazione, infatti, aveva chiarito che il concetto di pornografia è compreso in quello più ampio di oscenità, la quale si obbiettiva in fatti che offendono in modo turpe e grave il senso della riservatezza che deve presiedere alle manifestazioni sessuali[7].
Non è questo il luogo di un’analisi approfondita del fenomeno, per il quale si rimanda a quando detto in altro luogo[8], né per un’analisi delle singole fattispecie, perché, ai nostri fini interessa sapere che attraverso la legge in oggetto si è preso coscienza del fenomeno, allargandosi, per altro, il concetto di violenza come sfruttamento, del resto, nel corso dell'iter legislativo era stato segnalato che il concetto di sfruttamento era evocativo di finalità di lucro ed era stata evidenziata l'opportunità di punire invece tali condotte anche in assenza di un ritorno economico.
Il contesto del lavoro non consente, come detto, un’analisi approfondita delle singole fattispecie, qui basta affermare che alla stessa pena prevista per lo sfruttamento dei minori per la produzione di materiale pornografico, soggiace anche chi commercia tale materiale, purché non abbia concorso nella produzione del materiale stesso. Tale commercio, anche se riguardante minori, era fino all'entrata in vigore della legge che qui si commenta, punito dall'art. 528 c.p., secondo comma che continuerà ad applicarsi per il materiale pornografico realizzato con soggetti adulti. Di conseguenza, mentre la vendita di pubblicazioni o video contenenti immagini pornografiche riferite ad adulti continuerà a comportare una pena contenuta tra tre mesi e tre anni e una multa di 200.000 lire, e non consentirà l'arresto in flagranza, allorquando nelle riviste pornografiche o nei videotape "a luci rosse" compaiano immagini di minori, la pena non potrà essere inferiore a 6 anni di reclusione e a 50.000.000 di multa e l'arresto sarà addirittura obbligatorio.
Il terzo comma dell'art. 600-ter c.p. punisce con pene più leggere chi, al di fuori delle ipotesi di produzione e commercio del materiale pornografico avente ad oggetto minori, distribuisce, divulga o pubblicizza con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, tale materiale ovvero notizie finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale dei minori. Si è inteso in tal modo perseguire un fenomeno in crescita esponenziale rappresentato dai siti telematici dedicati alla pedofilia, ove compaiono immagini di bambini nell'atto di compiere atti sessuali con adulti o comunque in pose erotiche e da cui sovente si diffondono messaggi destinati ad adescare bambini o informazioni per alimentare il mercato della pedofilia. È innegabile che la esplicita previsione di tale ipotesi delittuosa è quanto mai opportuna: in precedenza la trasmissione di immagini pornografiche per via telematica poteva essere sanzionata unicamente ai sensi dell'art. 528 c.p.
Si ha però l'impressione che il legislatore abbia ampiamente sottovalutato la pericolosità del canale telematico per la diffusione della pedofilia: di fatto, la massima facilità di diffondere notizie per agevolare lo sfruttamento sessuale di bambini ed adolescenti. Di conseguenza, sarebbe stato logico prevedere pene più severe rispetto alla sanzione da infliggere al più usuale commerciante di videotape, sia pure destinati a pedofili.
Un'ulteriore ipotesi prevista dalla legge punisce con pena alternativa chi - al di fuori delle ipotesi sopra ricordate - cede ad altri, anche gratuitamente, materiale pornografico avente ad oggetto minori. La formulazione di tale reato avvalora la tesi secondo cui il commercio e la divulgazione del materiale di pornografia minorile, previsti dai commi 2 e 3 dell'art. 600-ter c.p., sono caratterizzati dall'essere attività sistematiche che si rivolgono indiscriminatamente verso una pluralità indistinta di persone. Allorquando invece la cessione del materiale pornografico non rappresenta una manifestazione di un'attività commerciale ma è occasionale, come chi passa il video hard all'amico indifferentemente dalla previsione di un corrispettivo, si configura la più lieve ipotesi prevista dal comma 4 dell'art. 600-ter c.p.
Con l'articolo 600-quater c.p. viene sanzionata con pena alternativa la condotta di chi, al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 600-ter c.p., consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori. Il reato configura pertanto una particolare forma di ricettazione. Sulla base di tale considerazione è stato affermato che "non ricorre il reato quando il materiale costituisce il risultato della personale attività del detentore, il quale ne ha curato la realizzazione per fini del tutto privati e nient'affatto lucrativi" e che "i prodotti della personale attività di fabbricazione del materiale pornografico, preordinata ad un uso strettamente privato, sono in sé suscettibili di legittima detenzione con ovvia salvezza dei reati che a tal fine siano eventualmente stati commessi, compresi quelli consistenti nella illegittima captazione delle immagini".
L'art. 600-quinquies c.p., punisce chi organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione in danno di minori o comunque comprendenti tali attività. Benché nell'articolo si parli genericamente di viaggi, e dunque vi siano compresi anche i viaggi in Italia, la previsione è chiaramente mirata ai viaggi all'estero, ed in particolare in Estremo Oriente ove la prostituzione minorile è particolarmente diffusa. La legge sanziona la semplice organizzazione o la mera attività di propaganda dei cosiddetti tour del sesso, indipendentemente dalla effettiva realizzazione del viaggio stesso o dall'effettivo verificarsi, nel corso del viaggio, degli incontri sessuali propagandati.
Non è invece sanzionata l'adesione del cliente a tali iniziative, tramite l'acquisto del "pacchetto turistico". Nemmeno sembra che tale adesione - anche se espressamente finalizzata a rapporti sessuali con minorenni - possa configurare gli estremi del tentativo in ordine ai reati previsti dall'art. 600-bis c.p., comma 2, o dall'art. 609-quater c.p., mancando i requisiti di idoneità dell'azione.
Peraltro, nel caso in cui nel corso del viaggio il soggetto abbia effettivamente rapporti sessuali con minorenni, potranno configurarsi a suo carico - secondo le modalità dell'episodio - i reati previsti dall'art. 600-bis c.p., comma 2 (quando il soggetto che si prostituisce abbia tra i 14 e i 16 anni) o 609-quater c.p. (quando il soggetto che si prostituisce abbia meno di 14 anni) o 609-bis c.p. (quando sia stata impiegata violenza o minaccia). La punibilità del cliente per fatti commessi all'estero va collegata alla nuova formulazione dell'art. 604 c.p. che prevede, per questa tipologia di delitti, un'estensione della giurisdizione italiana non condizionata dai requisiti richiesti dagli artt. 9 e 10 c.p.
Inasprimenti di pena sono previsti dall'art. 600-sexies c.p. per il caso in cui il fatto sia commesso in danno di un minore di 14 anni con riferimento ai reati di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di minori (art. 600-bis c.p., primo comma), realizzazione di esibizioni pornografiche o produzione di materiale pornografico con minorenni (art. 600-ter c.p., primo comma ), e iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.).
Ulteriori aggravamenti di pena (dalla metà ai due terzi) sono previsti, in relazione ai reati di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di minori (art. 600-bis c.p., primo comma) e in tutte le ipotesi di pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), quando il fatto sia commesso da persone legate al minore da particolari rapporti (di parentela, di convivenza o di affidamento) o che rivestono particolari qualifiche (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle funzioni) o quando il fatto sia commesso in danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica. In relazione ai medesimi reati è poi previsto un aumento ordinario se il fatto è commesso con violenza o minaccia.
Infine la norma prevede, nell'ambito dei delitti di prostituzione minorile (compresa l'ipotesi disciplinata dal secondo comma) e di pornografia minorile, una rilevante diminuzione di pena per chi si adopera concretamente in modo che il minore riacquisti la propria autonomia e libertà.
Una distinta norma (art. 600-septies c.p.) prevede, in caso di condanna per uno dei delitti sopra menzionati, la confisca e la chiusura degli esercizi la cui attività risulti finalizzata alla commissione dei reati e la revoca delle licenze o concessioni.
Al primo comma dell'art. 601 c.p. che punisce chi commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in condizione analoga alla schiavitù, è aggiunto un capoverso che sanziona con pena inferiore "chi commette tratta o comunque fa commercio di minori al fine di indurli alla prostituzione". In contrasto con l'intento proclamato nel titolo della legge, l'aggiunta di tale secondo comma sta a significare che la condotta così descritta non è assimilabile alla schiavitù, altrimenti non vi sarebbe stata alcuna necessità di introdurre il comma in questione. Comunque sia, il reato contempla l'agghiacciante ipotesi di una compravendita di minori da destinare al mercato della prostituzione, comprendendovi anche il reclutamento e il trasporto da uno Stato ad un altro (tratta).
Il quadro normativo della tutela del minore nei reati sessuali viene completato da alcune disposizioni particolari relative al processo
L'art. 13 della legge ha modificato l'art. 392 c.p. introducendo il comma 1-bis nel quale si prevede un'autonoma ipotesi di incidente probatorio nel caso in cui, nei procedimenti per i delitti sessuali, si debba procedere all'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici (anche diversa dalla persona offesa dal reato). In tali casi l'espletamento dell'incidente probatorio è legittimato sulla base della sola richiesta di una delle parti, a prescindere da ulteriori requisiti. La normativa tenta di equiparare la tutela del minore vittima a quella del minore autore del reato, l'ordinamento, infatti, prevede tutta una serie di cautele (giudici speciali, sanzioni particolari, centri di accoglienza anziché istituti di pena, specifiche cause di proscioglimento e specifiche regole processuali), purtroppo, però, non partendo dal presupposto che anche per il minore vittima la soluzione migliore sia la sua veloce fuoriuscita dal circuito penale, non raggiunge una soluzione idonea a garantire l’effettiva mancanza di ripercussione sulla psiche del minore dell’ulteriore trauma costituito dal “ricordo della violenza subita”.
Se è vero, infatti, che le cautele adottate attraverso la previsione dell’incidente probatorio semi-obbligatorio possono valere ad evitare che la vittima sia posta a confronto con l’autore del fatto nel pubblico dibattimento, è altrettanto vero che essa è pur sempre costretta a ripercorrere almeno una seconda volta il calvario del racconto (la prima volta lo ha fatto rispondendo al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, per altro non specializzati in rapporti con i minorenni). Meglio sarebbe stato, se proprio si voleva tener nel debito conto l’interesse del minore vittima, attribuire anche questa competenza al Tribunale per i minorenni e prevedere in quella sede una sorta di procedura differenziata che valesse ad evitare e/o limitare le ipotesi di riascolto. In ogni caso, l’attribuzione – in relazione alla qualità (minore) della persona offesa ‑ della competenza al Tribunale per i minorenni avrebbe evitato l’intervento ulteriore di quest’ultimo in sede civile al fine di emanare provvedimenti a tutela del minore vittima, con conseguente ripetizione del trauma del racconto innanzi ad altro giudice[9]. L’unificazione delle competenze, poi, avrebbe risolto i problemi di divergenze di modalità di approccio dovuti alla diversa natura dell’organo che interviene, divergenze particolarmente evidenti nell’ipotesi di violenza sessuale di gruppo, quando a far parte del gruppo siano sia soggetti maggiorenni (indagati ed imputati dal giudice ordinario) e soggetti minorenni (indagati ed imputati dal giudice minorile).
Dunque il legislatore si è finalmente fatto carico, anche se solo parzialmente ed in considerazione della tutela degli interessi degli autori del reato, delle esigenze del minore, coinvolto in un procedimento studiato per affrontare situazioni ben diverse e comunque riferite a persone in qualche modo in grado di padroneggiare emozioni e sentimenti. Una ulteriore innovazione, introdotta dall'art. 13 della legge n. 269 del 1998 sulla prostituzione e la pornografia minorile, ha esteso la previsione di irripetibilità dell'esame delle persone che hanno reso dichiarazioni in incidente probatorio, fissata dall'art. 190-bis c.p.p. stabilendosi che, quando si procede per uno dei reati previsti dalla legge sulla violenza sessuale, l'esame in dibattimento del minore che ha già reso dichiarazioni in incidente probatorio, può essere ammesso solo se il giudice lo ritiene assolutamente necessario.
Il comma 5-bis dell'art. 398 c.p.p., introdotto dalla legge, disciplina le particolari cautele che possono essere adottate nello svolgimento dell'incidente probatorio per l'assunzione della testimonianza del minore: "il G.I.P. stabilisce, se le esigenze del minore lo impongono o lo consigliano, il luogo e le particolari modalità con cui procedere, con facoltà di individuare un luogo diverso dal Tribunale, quali strutture specializzate di assistenza o la stessa abitazione del minore (art. 398, comma 5-bis, c.p.p.). Grazie a tale disposizione in molti uffici giudiziari si procede ad "audizioni protette" del minore, evitando che lo stesso si trovi a rispondere alle domande in presenza delle parti (e dunque anche dell'abusante) dei difensori, del cancelliere, comunque in un ambiente che può facilmente intimorire un bambino o un adolescente, preferendo svolgere l'esame mentre il minore si trova in altro locale, dotato di telecamera a circuito chiuso. L'esame può essere svolto con l'ausilio di un neuropsichiatra infantile o di altro esperto selezionato dal G.I.P., che affianca il minore in tale locale ed è in collegamento auricolare con il G.I.P. e con le parti che si trovano invece nell'aula di udienza.
Nell'ipotesi in cui non sia stato espletato l'incidente probatorio, o quando, nonostante tale espletamento, il giudice ritenga assolutamente necessario l'esame del minore in dibattimento vigono particolari regole: l'art. 498 c.p.p., quarto comma, prevede che l'esame del minore di 18 anni venga condotto dal Presidente del collegio anziché dalle parti, eventualmente con l'ausilio di un familiare del minore o di un esperto di psicologia infantile, a questa previsione vanno aggiunte quelle contenute nell’art. 13 della legge n. 269 del 1998 sulla prostituzione e la pornografia infantile che ha introdotto due rilevanti intagrazioni all'articolo in esame: - in primo luogo ha previsto (art. 498 comma 4-bis) per l'esame del minore degli anni 18 in dibattimento, l'estensione delle cautele previste dall'art. 398 c.p.p., comma 5-bis se una parte ne fa richiesta o se il Presidente lo ritiene necessario[10], in secondo luogo l’art. 498 c.p.p., comma 4-ter) prevede che l'esame del minore vittima del reato, venga effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro a specchio unitamente ad un impianto citofonico.
Il tema della procedibilità sembra il più controverso della disciplina in esame, quello che avrebbe mostrato un’effettiva inversione di tendenza in materia, specialmente nelle ipotesi di violenza sessuale intrafamiliare: Sarebbe stata coerente conseguenza della premessa di considerare i reati in questione come delitti contro la libertà personale la scelta di renderli procedibili d'ufficio.
Ma si è invece ritenuto opportuno dare peso alla particolarità di questo tipo di reati, che lasciano ferite più nell'anima che non nel corpo, e alla specificità di questo tipo di processi, che inevitabilmente portano ad indagare nella sfera della riservatezza della persona offesa. Si è dunque voluto evitare che la vittima fosse costretta ad affrontare un processo non voluto e, fin qui, nulla questio, quello che lascia perplessi è la procedibilità a querela quando vittima del reato sessuale sia un minore o quando il reato di violenza sessuale avviene all’interno della famiglia: è qui che viene in luce di nuovo il concetto di famiglia come realtà impenetrabile dall’esterno, rispetto alla quale lo Stato deve cedere.
Ad escludere questa concezione monolitica della famiglia, non vale la previsione legislativa, profondamente innovativa, in tema di procedibilità nei casi in cui soggetto passivo del reato sia un minore.
Si è, infatti, ritenuto opportuno fornire la massima tutela quando gli atti sessuali vengono posti in essere con bambini molto piccoli, con modalità violente ovvero anche senza modalità violente ma da persone che esercitano su di lui un'autorità, pubblica o privata.
La procedibilità d'ufficio ricorre dunque: - per i minori di anni 10 sempre, sia per atti consensuali che violenti (art.609‑septies co. 4 n. 1 e n.5; - per i minori di anni 14 ma non di 10, solo se sia stata usata minaccia violenza o abuso di autorità (art. 609-septies, co. 4, n.1). - sempre quando autore dell'abuso sessuale è il genitore (anche adottivo), il convivente del genitore, il tutore o l'affidatario (art.609-septies, co. 4, n. 2, prima parte). A tale ultimo riguardo va però rammentato che se si tratta di relazioni "consensuali", il fatto è previsto come reato solo se il minore non ha compiuto i 16 anni.
L'inserimento del convivente del genitore tra le persone nei cui confronti si procede di ufficio risolve molti dei problemi derivanti dal conflitto di interesse che spesso si crea tra il genitore ed il bambino: è infatti esperienza diffusa che le madri, di fronte alle accuse delle figlie rivolte al nuovo compagno della mamma, si schierino quasi sempre con quest'ultimo, tentando di screditare la figlia e rifiutando comunque di presentare querela.
In tali casi, prima dell'innovazione legislativa, il G.I.P. - ricorrendone i presupposti - poteva procedere alla nomina di un curatore speciale ai sensi dell'art. 121 c.p. e 338 c.p.p. per la proposizione della querela. Tale procedura, alla luce della nuova normativa, risulta ancora applicabile quando autore dell'abuso è, ad esempio, il nonno del minore o altra persona (diversa dal partner del genitore) convivente con il minore, ad esempio un fratello: ed infatti tali ipotesi, in cui pure spesso si manifesta un conflitto di interessi, non risultano procedibili d'ufficio (609-septies, n. 2). La nomina del curatore speciale per la proposizione della querela continua inoltre ad essere necessaria quando si tratta di interdetti e vi sia conflitto di interessi con il legale rappresentante: per le condizioni di minorità non è prevista infatti alcuna ipotesi di procedibilità d'ufficio.
La legge ha altresì modificato i termini per la presentazione della querela, previsti non più in tre mesi bensì in sei e ha attribuito il carattere della irrevocabilità all'evidente scopo di evitare che la vittima, dopo la presentazione della denuncia, possa essere sottoposta a pressioni finalizzate ad ottenere una ritrattazione.
L'esperienza degli ultimi anni aveva evidenziato la difficoltà di perseguire alcune delle condotte sopra descritte sia per l'assenza di previsioni normative adeguate (si pensi alla pedofilia via Internet) sia per le implicazioni che tali condotte hanno in territorio estero (si pensi ancora alla pedofilia via Internet ove le centrali gestite dai provider hanno sede in territori protetti dalle compiacenti legislazioni di quegli Stati o al cd. turismo sessuale in cui gli atti sessuali commessi con minorenni si svolgono appunto all'estero).
Tali obiettive difficoltà hanno indotto il legislatore a integrare l'art. 604 c.p. che per i delitti contro la personalità individuale, ne prevedeva la perseguibilità anche nei casi in cui il reato era commesso all'estero ma in danno di un cittadino italiano.
La lotta al fenomeno della pedofilia e la repressione dei reati sopra descritti presentano oggettive e rilevanti difficoltà. Occorre dare atto al Parlamento di un concreto impegno per attivare gli strumenti che possono rendere efficaci ed attuali le iniziative volte a contrastare e prevenire il fenomeno. Sono innanzitutto istituite unità specializzate di polizia giudiziaria nell'ambito degli accordi internazionali con gli altri Paesi dell'Euro che hanno esteso la competenza di Europol anche ai reati di sfruttamento sessuale dei minorenni. In particolare è previsto un nucleo di polizia giudiziaria istituito presso la sede centrale della Questura, con compiti non operativi ma di analisi, raccolta e diffusione delle informazioni in ambito nazionale ed europeo. Sono poi istituite unità specializzate di polizia giudiziaria presso ogni Squadra Mobile, con il compito di condurre le indagini sul territorio. Non vi è dubbio che proprio su tali unità dovremo contare per riuscire a scardinare condotte così gravi e traumatiche e, nello stesso tempo, così difficili da perseguire.
La legge prevede che gli ufficiali di P.G. appartenenti alle unità specializzate di cui si è detto e quelli delle strutture istituite per il contrasto dei delitti di criminalità organizzata, allorquando svolgono indagini in ordine ai delitti di cui agli artt. 600-bis c.p., primo comma, 600-ter c.p., primo, secondo e terzo comma, e 600-quinquies c.p. potranno avvalersi di particolari normative che consentiranno loro, previa autorizzazione dell'A.G.: di procedere all'acquisto simulato di materiale pornografico e alle relative attività di intermediazione. In tali casi l'acquisto simulato è immediatamente comunicato all'A.G. che può differirne il sequestro per non nuocere alle indagini; di partecipare alle iniziative turistiche previste dall'art. 600-quinquies c.p.
È evidente che si tratta di disposizioni che, ispirandosi alla legislazione in tema di stupefacenti (artt. 97 e 98 del D.P.R. n. 309 del 1990) grazie alla quale sono stati conseguiti importanti successi, istituiscono una causa di non punibilità che si riconnette all'art. 51 c.p.
Si tratta di un'importante previsione, considerato che in questa tipologia di reati sovente l'unica modalità di indagine è rappresentata dall'infiltrare nell'organizzazione uomini delle strutture specializzate, ovvero simulare interesse per il materiale pornografico in vendita o per i siti Internet che si occupano di pedofilia, al fine di individuare i concorrenti in tali turpi traffici e le altre persone "fruitrici" dello sfruttamento sessuale dei minori.
La normativa in questione accorda però, rispetto a quella per la lotta agli stupefacenti, una minore autonomia alla polizia giudiziaria: ed infatti - fermo restando che in entrambi i casi abilitati ad operare sono solo gli ufficiali e non gli agenti di P.G., e solo quelli appartenenti a determinate strutture specializzate - deve sottolinearsi che nell'attività concernente i reati di sfruttamento sessuale dei minori è sempre necessario il preventivo decreto dell'A.G., con cui dunque il P.M. autorizza gli ufficiali ad acquistare simulatamente materiale pornografico, o a partecipare a viaggi organizzati per lo sfruttamento sessuale di minori, a ritardare l'esecuzione della cattura o dell'arresto dei responsabili o a procrastinare il sequestro del materiale pornografico ricevuto; laddove invece, in materia di droga, le corrispondenti attività possono essere compiute autonomamente dagli ufficiali dei nuclei specializzati che si limitano a darne comunicazione all'A.G.
Riguardo alle operazioni c.d. di “in filtraggio telematico”, si deve osservare che un orientamento restrittivo in ordine alla liceità delle intercettazioni ed alla loro utilizzabilità espresso della Suprema corte[11], è stato immediatamente criticato dalla dottrina[12] e superato dalla successiva giurisprudenza di merito e della medesima Suprema corte.
Sul piano europeo occorre, da una parte ricordare che i reati di pedopornografia on line sono inseriti nell’abito di attività dell’Europool e, ancora, nell’ambito delle disposizioni legislative soggette al coordinamento di Eurojust.
A tanto va aggiunto la recente decisione quadro relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile»(Bruxelles, 29 luglio 2003). Le principali novità della norma comunitaria sono la definizione di «bambino» come «persona inferiore a diciotto anni» e l'estensione del concetto di «pornografia infantile» anche ai casi in venga utilizzata «una persona reale che sembra essere un bambino» oppure «immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nella suddetta condotta». La prima ipotesi è quella della cosiddetta «pedopornografia apparente», con persone maggiorenni che per le loro caratteristiche fisiche sembrano «bambini», cioè con meno di 18 anni; la seconda, invece, viene definita «pedopornografia virtuale». Una definizione, poi, di immagini virtuali è contenuta nel disegno di legge modificativo della disciplina fin qui illustrata di cui si dirà in seguito: «immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali».
In contrapposizione alla produzione legislativa nazionale ed internazionale e a fronte di una interpretazione giurisprudenziale che, seppure lentamente, sembra orientata verso un maggior rigore nella repressione dei reati invasivi della libertà sessuale, La legge 45/2004, che ha convertito con modificazioni il Dl 354/03, ha apportato significative modifiche all’articolo 132 del D.Lgs 196/03 in materia di protezione dei dati personali a tutela della privacy, con particolare riguardo alla conservazione dei dati relativi ai traffici telefonici. La legge in questione ha, inoltre, introdotto innovativi meccanismi procedurali per l’acquisizione dei tabulati nel corso delle indagini penali, che incidono in maniera profonda sull’esercizio del potere istruttorio dei magistrati del Pm, attribuendo - in maniera forse neppure del tutto consapevole - nuovi poteri al giudice delle indagini preliminari, che non sempre appaiono conciliabili con il nuovo articolo 111 della Costituzione, come riformulato con la legge costituzionale 2/1999.
Sebbene si debba dire subito che la scelta normativa di limitare la conservazione e l’acquisizione dei dati di traffico telefonico ad un periodo massimo di quattro anni, rientri senza dubbio nell’insindacabile discrezionalità del Legislatore occorre anche subito comparare nella maniera ritenuta più adeguata i vari e differenti interessi coinvolti in un intervento normativo. Nel caso di specie la tutela della riservatezza e l’interesse a svolgere investigazioni in merito a fatti di reato.
Gli elementi portanti della riforma possono così sintetizzarsi:
a) i dati relativi al traffico telefonico sono conservati dal gestore per un periodo massimo di quattro anni per le sole finalità di accertamento e repressione dei reati (articolo 132 comma 1);
b) i dati relativi al terzo ed al quarto anno dalla registrazione del traffico telefonico sono conservati soltanto ai fini dell’accertamento e repressione «dei delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), del Cpp, nonché dei delitti in danno di sistemi informatici o telematici» (articolo 132 comma 2);
c) i dati relativi ai primi due anni dalla registrazione del traffico telefonico sono acquisiti «con decreto motivato del giudice su istanza del Pm o del difensore dell’imputato, della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa o delle altre parti private» (articolo 132 comma 3);
d) i dati relativi al terzo ed al quarto anno dalla registrazione del traffico telefonico sono acquisiti direttamente dalle parti legittimate (Pm ovvero difensore dell’imputato, dell’indagato, della persona offesa o delle altre parti private), previa autorizzazione del giudice che verifica la sussistenza dei requisiti richiesti e, quindi, che vi siano «sufficienti indizi di dei delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), del Cpp, nonché dei delitti in danno di sistemi informatici o telematici» (articolo 132 comma 4).
È utile ricordare che, prima della presente riforma, i dati relativi al traffico telefonico venivano acquisiti, nel corso delle indagini preliminari, direttamente ed in via pressocché esclusiva dal Pm (si è discusso sulla possibilità di acquisizione da parte dei difensori ai sensi dell’articolo 391‑quater cpp) che ne faceva richiesta al fornitore ai sensi dell’articolo 256 cpp.
In sede processuale - instauratosi il contraddittorio tra le parti, dopo l’esercizio dell’azione penale - provvedeva il giudice procedente, su istanza di parte o anche di ufficio a seconda del differente stato del processo e secondo i poteri attribuiti dalle specifiche norme del codice di rito che disciplinano ogni singola fase (articolo. 422; 507; 603 Cpp). Rimaneva ovviamente impregiudicato il potere acquisitivo del Pm, autonomamente esercitabile in ogni momento come atto di indagine suppletiva o integrativa.
Peraltro, l’esercizio di questa attività di ricerca della prova nella fase (segreta e priva di contraddittorio) delle indagini preliminari, in considerazione dell’indiscutibile compressione della sfera dell’altrui riservatezza, era stata oggetto di approfondite valutazioni di ordine giuridico, culminate nella sentenza, 281/98 dalla Corte costituzionale, pronunciata in relazione all’articolo 15 Costituzione, successivamente ripresa dalle Su della Corte di cassazione.
In vigenza della precedente disciplina la Corte costituzionale aveva affermato: «la disciplina applicabile all’acquisizione dei “tabulati”, nei cui confronti opera la tutela che l’articolo 15 Costituzione appresta alla libertà e alla segretezza di ogni forma di comunicazione, va ricercata nell’articolo 256 cpp, relativo al dovere di esibizione all’autorità giudiziaria di documenti riservati o segreti; disciplina alla quale sono peraltro sottese le irrinunciabili garanzie stabilite dall’articolo 15, secondo comma, Costituzione, secondo cui la libertà e la segretezza di ogni forma di comunicazione possono essere limitate solo con atto dell’autorità giudiziaria, sorretto da adeguata e specifica motivazione».
Nella fase delle indagini preliminari, quindi, il sistema era già congegnato tenendo conto delle specifiche competenze dell’ufficio di Procura quale organo dello Stato deputato alla repressione e punizione dei reati, al quale dovevano essere rivolte le richieste di acquisizione di tabulati provenienti dalle altre parti interessate (indagato, parte lesa ecc.). L’appartenenza del P.m. all’ordine giudiziario era considerata idonea tutela e garanzia del diritto alla riservatezza dei cittadini, mettendoli al riparo da atti di intrusione nella propria sfera privata eventualmente sviati dal fine di accertamento e repressione dei reati che, solo, consentiva (e consente tuttora) quella deroga.
Unico limite della precedente disciplina, che, si ripete, non era oggetto di specifiche previsioni normative e che costituiva attuazione dei generali poteri dell’organo delle indagini, poteva individuarsi nella non obbligatorietà per il P.m. di procedere all’acquisizione dei dati richiesta dalle altre parti interessate e nella mancanza di un rimedio per il caso di richiesta non accolta. Limite che poteva facilmente essere superato con la previsione di un obbligo del Pm di motivare le ragioni del diniego con trasmissione degli atti al Gip così come avviene per i casi di istanze non accolte di sequestro ai sensi dell’articolo 368 Cpp.
Orbene ed a prescindere da gravi aspetti di incostituzionalità relativi alla concessione di poteri ad un giudice che si suppone terzo, ma di cui, poi, si chiede l’intervento come se fosse “dominus” delle indagini, il tutto a dispetto ed in contrasto con quello che si intende fare, cioè adeguare il sistema all’articolo 111 della Costituzione, si deve dire che il nuovo sistema comporta ostacoli operativi che vanno ben oltre quelli frapposti da interpretazioni giurisprudenziali inadeguate e che, comunque, erano state superate dalla Corte costituzionale.
La norma, infatti, nulla dice in ordine alle modalità di esecuzione del decreto motivato di acquisizione, alla possibilità di utilizzo dell’atto istruttorio: sembrerebbe essere rimesso a chi quegli atti ha voluto acquisire per quelle ragioni (assolutamente libere) specificamente espresse nella motivazione e, quindi, anche per gli accertamenti consequenziali.
Tra le possibili opzioni interpretative potrebbe allora ricorrere anche quella secondo cui i dati acquisiti potrebbero confluire nel fascicolo delle indagini, anche se richiesti dai difensori dell’indagato e della persona offesa e anche qualora evidenziassero elementi contrari alla parte privata che li abbia richiesti. In tal senso sembrerebbe deporre anche la lettera del nuovo articolo 132 D.Lgs 196/03, che consente la limitazione del diritto alla riservatezza - connesso alla conservazione del traffico telefonico - per le sole finalità positive dell’accertamento e della repressione dei reati, non consentendo, per converso, che i dati acquisiti restino inutilizzati ed, anzi, occultati o, comunque, nell’esclusiva disponibilità di un privato e non conosciuti neppure dal giudice che li ha materialmente appresi. Così potendosi prestare anche ad usi impropri e non garantiti dal controllo pubblicistico esercitato dall’Autorità Giudiziaria.
Viene allora il dubbio che l’intervento legislativo, non in linea con la Costituzione e con i meccanismi procedurali, sia stato dettato esclusivamente dall’attuale clima di sfiducia nei confronti dell’Ufficio del P.m. e nella prevalente logica di limitarne le prerogative, così recando grave nocumento a qualsiasi investigazione, atteso che proprio l’organo deputato a coordinarle e dirigerle, è privato di quei poteri che non possono che essere esercitati direttamente dagli inquirenti.
Né si capisce, allora, perché analoga legittimazione alla richiesta di acquisizione non sia stata attribuita direttamente anche alla Polizia Giudiziaria ed anche all’insaputa del P.m., sempre più emarginato e sospinto verso compiti esclusivamente dibattimentali.
Si tratta, evidentemente, di schizzofrenia legislativa, dovuta, nella migliore delle ipotesi – cioè in quella che tiene conto della buona fede – ad un difetto di conoscenza dei meccanismi. La buona fede, però, sembra non poter essere riconosciuta ad un legislatore che, sempre in tema di traffico di comunicazione, in contrasto con precise direttive europee, ed a tutela di un interesse – certamente rilevante (il diritto di utilizzazione dell’opera cinematografica) – ma meno incidente sulla realtà sociale, con il Decreto Legge 22 marzo 2004, n.72, comunemente definito legge salva film, ha superato tutte le perplessità e le remore che si erano poste in sede di acquisizione dei tabulati telefonici ed ha imposto agli internet provider un dovere di delazione dei “tabulati dei traffici telematici” rispetto a chi non commette un reato, ma semplicemente un illecito amministrativo quale quello di di scaricarsi gratuitamente i Film da Internet. Illecito amministrativo ridisegnato con il medesimo disegno di legge in modo più severo e, certamente, in contrasto con una direttiva europea che orienta gli Stati verso la non punibilità (sia penale che amministrativa e civile) del fatto di chi scarica film per uso personale.
Ed allora la possibilità di concedere al legislatore proponente (il governo) la buona fede anche per quanto attiene ai paletti posti al pubblico ministero nell’acquisizione dei tabulati svanisce ed appare chiaro il disegno: occorre sminuire i poteri del pubblico ministero – almeno fino ad ora non controllabile da parte del potere esecutivo – ed accentuare quello degli organi legati istituzionalmente all’esecutivo – le sanzioni amministrative sono irrogate dal prefetto ed i tabulati relativi allo scaricamento dei film debbono essere dati a questi.
Sono i prodromi di un sistema giudiziario in cui gli interessi forti decidono che cosa fare, che cosa perseguire e, poi, con la separazione delle carriere e la conseguente inevitabile sottoposizione del pubblico ministero all’esecutivo, chi perseguire.
Il Ddl si divide in due parti, il Capo I, «Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia», che in gran parte modifica il codice penale dall'articolo 600ter al 600nonies, ovvero le norme introdotte con la legge 269/98. Il Capo II, invece, si occupa più specificamente delle «Norme contro la pedopornografia a mezzo internet». Nuovi reati, nuove pene e nuove strutture per combattere lo «sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet».
Si prevedono pene da 6 a 18 anni, oggi vanno da 6 a12 anni, per «chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche», oltre ad una multa «da euro 25.822 ad euro 258.228». Punibile anche la mera detenzione, la cessione a titolo gratuito e – novità del Ddl – l'offerta del materiale pedopornografico.
La nuova versione dell'articolo 600‑quater (1 e 2) disciplina la pedopornografia apparente e quella virtuale. In entrambi i casi si prevede una riduzione di un terzo della pena, ma anche delle ipotesi di non punibilità. Per “l'apparente”, maggiorenni che sembrano minorenni, non si è punibili se si dimostra «che le persone utilizzate erano in realtà maggiorenni e la produzione non è destinata alla diffusione o alla cessione». Per la “virtuale”, invece, non si è punibili, «quando la produzione non è destinata alla diffusione o alla cessione e nella stessa non sono state utilizzate immagini di soggetti reali o parti di esse».
Un'altra eccezione è prevista per i minorenni che abbiano raggiunto l'età per il consenso sessuale, che rimane a 14 anni. Un sedicenne, ad esempio, che produce o detiene materiale, del quale è anch'egli protagonista con altri coetanei, non è punibile, almeno finché il materiale rimanga «nell'esclusiva disponibilità dei soli soggetti minori rappresentati».
Viene introdotto, infine, un articolo 528‑bis al Codice penale per sanzionare, in caso di «trasmissione di scritti, disegni o immagini osceni», i provider che non adempiono all'ordine di interrompere la trasmissione.
Gli interventi fin ora esaminati rappresentano una prospettazione del problema della violenza intrafamiliare, a dir poco, monca se non a senso obbligato: la violenza si esercita attraverso gli abusi sessuali. Con la legge n. 154 del 2001, la tendenza legislativa, in assonanza ad una nuova impostazione culturale del problema, è stata interrotta; con tale disposizione, infatti, per la prima volta, il legislatore ha avuto l’obiettivo di affrontare la problematica della violenza intrafamiliare in modo completo, introducendo nel nostro ordinamento, una efficace normativa contro la violenza domestica ed individuando una molteplice serie di rimedi, di carattere sia penale che civile.
Fra le previsioni di natura penale, va in primo luogo considerata la misura coercitiva dell'allontanamento dalla casa familiare, contenuta nell'art. 1, comma 2, della legge n. 154 del 2001, che ha introdotto nel codice di procedura penale l'art. 282-bis c.p.p. In base a questa disposizione, il giudice delle indagini preliminari può disporre l'allontanamento familiare dell'indagato (prossimo congiunto e convivente), imponendo allo stesso di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede.
La misura è soggetta ai medesimi presupposti indicati previsti per le le altre misure cautelari personali ma può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 280 c.p.p. - ovvero reclusione superiore a tre anni, o, nel caso di adozione di custodia cautelare in carcere, reclusione superiore agli anni quattro -, qualora si proceda per i delitti di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), per abuso dei mezzi di correzione e disciplina (art. 571 c.p.), prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.), corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.) e per violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.). Il legislatore ha, inoltre, previsto, che il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può prescrivere all'indagato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa.
Accanto alla misura di carattere personale, è stata introdotta con l'art. 282-bis, comma 3 c.p.p., una misura di tipo patrimoniale: il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può, all'atto dell'allontanamento dell'indagato dalla propria abitazione, applicare una misura patrimoniale provvisoria, destinata poi a perdere efficacia al momento della pronuncia con cui il giudice civile disciplina i rapporti patrimoniali nel procedimento di separazione personale. In particolare, il giudice può ordinare all'indagato o imputato il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi, quando queste, proprio a seguito dell'allontanamento del soggetto dalla casa familiare, rimangano prove di mezzi adeguati. Il giudice deve determinare la misura dell'assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell'obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Il provvedimento patrimoniale in parola perde immediatamente efficacia quando sia revocata o perda comunque efficacia la misura cautelare presupposta. Tuttavia, in base al disposto di cui al comma 2-bis dell'art. 291 c.p.p., pur esso introdotto con la legge n. 154 del 2001, la misura patrimoniale in questione può accedere a qualsiasi altra misura coercitiva o interdittiva, purché sussista una situazione di necessità o urgenza, perdendo poi efficacia quando la misura cautelare cui accede sia revocata.
Anche il giudice civile può adottare misure cautelari provvisorie a tutela delle vittime di violenza familiari[13]. Si deve, però, osservare che presupposto per l’applicazione delle cautele provvisorie in materia civile è che nel relativo procedimento di separazione o di divorzio non si sia svolta ancora l'udienza di comparizione dei coniugi davanti al presidente prevista dall'articolo 706 c.p.c. ovvero dall'articolo 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, tanto perchè in pendenza della fase presidenziale di un giudizio di separazione o divorzio, i provvedimenti in tema di obblighi di protezione sono sostituiti dai rispettivi provvedimenti presidenziali provvisori, con cui il presidente decide in ordine all'assegnazione della casa familiare, nonché al versamento dell'assegno di mantenimento a carico di una delle parti. La preclusione all'adozione dell'ordine di protezione viene però meno nella fase successiva a quella presidenziale, davanti al giudice istruttore e la normativa relativa alle misure cautelari riprende vigore.
In base all'art. 342-bis del codice civile, il giudice, quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti con cui ordina di cessare la tenuta della condotta di abuso; dispone l'allontanamento dalla casa familiare; prescrive di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante; dispone l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti; impone al responsabile il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti sopra indicati, ed in particolare della decisione di allontanamento della casa, siano rimasti prive di mezzi adeguati.
Legittimata a presentare la richiesta è solo la persona del nucleo familiare vittima degli abusi, ivi compresi il figlio di età minore, il quale, peraltro, è da ritenere possa essere anche l'autore degli abusi e quindi il destinatario degli ordini anzidetti.
A differenza di quanto previsto per il procedimento penale, dove le medesime misure sono adottabili in presenza di un quadro indiziario denotato in termini di gravità dall'art. 273 c.p.p. relativamente all'esistenza di un fatto di reato ben determinato, ritualmente contestato all'indagato, nonché dalla sussistenza delle esigenze cautelari descritte dal successivo art. 274 c.p.p., il giudice civile non abbisogna di tali rigorosi elementi. È sufficiente, per l'adozione dei provvedimenti in discorso, che questi abbia verificato che la condotta pregiudizievole abbia comportato la lesione di un diritto della personalità della parte istante, valutando anche l'entità del pregiudizio in relazione sia alla gravità e pericolosità della singola condotta violenta tenuta, sia della possibilità di una reiterazione della stessa.
Tutte le misure sopra indicate sono provvisorie, giacché il giudice ne deve stabilire la durata, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dell'ordine di protezione, e che comunque non può essere superiore a sei mesi, anche se può essere prorogata, per il tempo strettamento necessario, su istanza di parte, se ricorrano gravi motivi per il tempo. Le modalità di attuazione degli ordini di protezione, che possono essere anche piuttosto complesse, sono fissate dallo stesso giudice che ne dispone l'esecuzione, il quale, ove sorgano difficoltà o contestazioni, emana i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario.
In base all’art. 736-bis c.p.c., quando occorra adottare un ordine di protezione contro gli abusi familiari, l'istanza, che deve avere la forma del ricorso, e va presentata al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'istante, può essere presentata anche direttamente dalla parte, senza l'assistenza del difensore. Il giudice provvede in camera di consiglio in composizione monocratica con il procedimento di volontaria giurisdizione, salvo le specifiche norme dettate nello stesso art. 736-bis c.p.c. citato.
È prevista anche una procedura in via d'urgenza, nel corso della quale, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l'ordine di protezione fissando l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. Contro il decreto che decide sull'adozione o meno dell'ordine di protezione, è ammesso reclamo al tribunale, ma il reclamo non sospende l'esecutività dell'ordine di protezione. Il tribunale - di cui non far parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato - provvede sul reclamo in Camera di Consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile.
Il legislatore, poi, ha ritenuto di rafforzare anche con una sanzione penale la previsione civilistica. La legge n. 154 del 2001 ha introdotto, all'art. 6, anche una fattispecie criminosa in caso di inosservanza da parte del destinatario degli ordini di protezione contro gli abusi familiari emessi dal giudice civile, ovvero di provvedimenti di analogo tenore assunti nel procedimento di separazione personale dei coniugi o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Chiunque elude tali provvedimenti, infatti, viene punito ai sensi dell'art. 388, comma 1, c.p. In sostanza, il legislatore piuttosto che configurare un'autonoma fattispecie criminosa ha preferito riportare la predetta condotta nell'alveo di una previsione criminosa preesistente, ovvero quella di mancata esecuzione dolosa degli ordini di un giudice, di cui all'art. 388, comma 1, c.p., in base al quale "chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni".
Salerno, TIME \@ "dddd d MMMM yyyy" venerdì 2 aprile 2004 |
IL SOSTITUTO PROCURATORE |
|
Dott. Francesco Verdoliva |
[1]
Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina. ‑ [I]. Chiunque
abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una
persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per
ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia,
ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, è
punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel
corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.
[II]. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le
pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se
ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni
[ 572].
[2]
Codice civile Art. 415 ‑
Persone che possono essere inabilitate. ‑ [I]. Il
maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è
talmente grave da far luogo all'interdizione, può essere
inabilitato [ 417 ss., 429].
[II]. Possono anche essere inabilitati coloro che, per
prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di
stupefacenti, espongono sè o la loro famiglia a gravi pregiudizi
economici.
[III]. Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco
dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto
un'educazione sufficiente, salva l'applicazione dell'articolo
414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di
provvedere ai propri interessi.
[3] 573. Sottrazione consensuale di minorenni. ‑ Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la patria potestà [c.c. 316] o al tutore [c.c. 346] ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo [c.p. 120; c.p.p. 336] (2) con la reclusione fino a due anni [c.p. 522, 524]. ‑‑La pena è diminuita [c.p. 65], se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata [c.p. 64], se è commesso per fine di libidine. ‑‑‑Si applicano le disposizioni degli articoli 525 e 544 (3).
(1) Ora alla patria potestà è sostituita la potestà dei genitori, secondo la modifica introdotta all'art. 316 c.c. con l'art. 138, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 5-22 febbraio 1964, n. 9 (Gazz. Uff. 29 febbraio 1964, n. 54), ha dichiarato la illegittimità dell'art. 574, c.p., in riferimento all'art. 29, secondo comma, Cost., in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà, e, in applicazione dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, ha dichiarato la illegittimità dell'art. 573 c.p., in riferimento all'art. 29, secondo comma, Cost., in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà.
(3) I citati articoli 525 e 544 c.p. sono stati abrogati, rispettivamente, dall'art. 1, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42), recante le nuove norme in materia di violenza sessuale e dall'art. 1, L. 5 agosto 1981, n. 442, di abrogazione della rilevanza penale della causa d'onore. La Corte costituzionale, con sentenza 17-26 giugno 1975, n. 163 (Gazz. Uff. 2 luglio 1975, n. 174), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3 e 13 Cost. La stessa Corte, con sentenza 15-20 giugno 1977, n. 122 (Gazz. Uff. 29 giugno 1977, n. 176), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.; con sentenza 26 settembre-6 ottobre 1988, n. 957 (Gazz. Uff. 12 ottobre 1988, n. 41 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost.
[4] In relazione alle ipotesi di incesto, si deve, da una parte ricordare che il frutto della relazione incestuosa (cioè i figli di consanguinei) è stato completamente equiparato al frutto di altre relazioni (vedi da ultimo Corte costituzionale 494 del 2002 che ha riconosciuto il diritto al riconoscimento giudiziario dei figli incestuosi) e, dall’altra che il reato previsto dall’articolo 564 c.p. è punibile unicamente se dalla relazione incestuosa ne derivi un pubblico scandolo, mentre nelle altre ipotesi si deve ritenere che i comportamenti rientrino nell’ambito dei rapporti sessuali leciti, se fra adulti o maggiori degli anni 16 consenzienti, ovvero illeciti ai sensi delle previsioni degli articolo 609‑bis ss del codice penale.
[5] Va sottolineato che la corruzione di minore, probabilmente per una svista, risulta procedibile d'ufficio laddove altre ipotesi, sicuramente più gravi (609-quater) sono procedibili a querela.
[6] Vedi quanto si dirà nel prosieguo sul c.d. decreto Urbani sulla tutela del diritto di autore ed a quello, di poco antecedente, sulla conservazione dei dati e tabulati di comunicazioni e conversazione, provvedimenti che vanno in direzioni opposte.
[7] La pornografia è termine più ristretto di quello di oscenità ed è la descrizione o illustrazione di soggetti erotici, mediante scritti, disegni, discorsi, fotografie, ecc., che siano idonei a far venir meno il senso della continenza sessuale e offendano il pudore per la loro manifesta licenziosità" (Cass., Sez. III, sent. n. 1197 del 9 febbraio 1971).
[8] “Pornografia minorile in rete ed adeguamento legislativo” a margine del convegno IL BAMBINO VIRTUALE ‑ Giornata di studio in vista della Sessione speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ‑ dedicata all'infanzia, promossa dalla Commissione parlamentare per l'infanzia, 15 APRILE 2002
[9] 609-decies. Comunicazione dal tribunale per i minorenni. ‑ Quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall'articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni (1). ‑‑Nei casi previsti dal primo comma l'assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado di procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall'autorità giudiziaria che procede. ‑‑‑In ogni caso al minorenne è assicurata l'assistenza dei servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali. ‑‑‑‑Dei servizi indicati nel terzo comma si avvale altresì l'autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento (2).
(1) Comma così modificato prima dall'art. 13, L. 3 agosto 1998, n. 269 e poi dall'art. 15, L. 11 agosto 2003, n. 228. Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 228 del 2003 era il seguente: «Quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall'articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni.». Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla legge n. 269 del 1998 era il seguente: «Quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall'articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni.».
(2) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42).
[10] Va rilevato che mentre nell'incidente probatorio (a cui si riferisce l'art. 398 c.p.p.) l'adozione di tali cautele è limitato al minore degli anni 16 che sia chiamato a deporre in un procedimento per delitti contro la libertà sessuale o per i reati previsti dagli artt. 600-bis e seguenti, in dibattimento tali cautele possono essere adottate indipendentemente dal reato per cui si procede e anche nei confronti di chi abbia già compiuto i 16 anni.
[11] Vedi cass. Sezione terza, sentenza n.39706/03; depositata il 28 ottobre
[12] Natalini, Pedopornografia on line: per gli agenti provocatori la tassatività della legge 269/98 è assoluta, Diritto e Giustizia del 5 novembre 2003.
[13] L'obiettivo è stato raggiunto con l'introduzione, nel Libro I del Codice Civile, del Titolo IX-bis, avente come rubrica "Ordini di protezione contro gli abusi familiari" e con l'introduzione del Capo V-bis del Titolo II del Libro IV del Codice di Procedura Civile, sotto la rubrica "Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari". La legge n. 154 del 2001 ha inoltre introdotto l'art. 736-bis c.p.c. che disciplina le modalità di applicazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.
(1) Ora alla patria potestà è sostituita la potestà dei genitori, secondo la modifica introdotta all'art. 316 c.c. con l'art. 138, L. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 5-22 febbraio 1964, n. 9 (Gazz. Uff. 29 febbraio 1964, n. 54), ha dichiarato la illegittimità dell'art. 574, c.p., in riferimento all'art. 29, secondo comma, Cost., in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà, e, in applicazione dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, ha dichiarato la illegittimità dell'art. 573 c.p., in riferimento all'art. 29, secondo comma, Cost., in quanto limita il diritto di querela al genitore esercente la patria potestà.
(3) I citati articoli 525 e 544 c.p. sono stati abrogati, rispettivamente, dall'art. 1, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42), recante le nuove norme in materia di violenza sessuale e dall'art. 1, L. 5 agosto 1981, n. 442, di abrogazione della rilevanza penale della causa d'onore. La Corte costituzionale, con sentenza 17-26 giugno 1975, n. 163 (Gazz. Uff. 2 luglio 1975, n. 174), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3 e 13 Cost. La stessa Corte, con sentenza 15-20 giugno 1977, n. 122 (Gazz. Uff. 29 giugno 1977, n. 176), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.; con sentenza 26 settembre-6 ottobre 1988, n. 957 (Gazz. Uff. 12 ottobre 1988, n. 41 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost.
[4] In relazione alle ipotesi di incesto, si deve, da una parte ricordare che il frutto della relazione incestuosa (cioè i figli di consanguinei) è stato completamente equiparato al frutto di altre relazioni (vedi da ultimo Corte costituzionale 494 del 2002 che ha riconosciuto il diritto al riconoscimento giudiziario dei figli incestuosi) e, dall’altra che il reato previsto dall’articolo 564 c.p. è punibile unicamente se dalla relazione incestuosa ne derivi un pubblico scandolo, mentre nelle altre ipotesi si deve ritenere che i comportamenti rientrino nell’ambito dei rapporti sessuali leciti, se fra adulti o maggiori degli anni 16 consenzienti, ovvero illeciti ai sensi delle previsioni degli articolo 609‑bis ss del codice penale.
[5] Va sottolineato che la corruzione di minore, probabilmente per una svista, risulta procedibile d'ufficio laddove altre ipotesi, sicuramente più gravi (609-quater) sono procedibili a querela.
[6] Vedi quanto si dirà nel prosieguo sul c.d. decreto Urbani sulla tutela del diritto di autore ed a quello, di poco antecedente, sulla conservazione dei dati e tabulati di comunicazioni e conversazione, provvedimenti che vanno in direzioni opposte.
[7] La pornografia è termine più ristretto di quello di oscenità ed è la descrizione o illustrazione di soggetti erotici, mediante scritti, disegni, discorsi, fotografie, ecc., che siano idonei a far venir meno il senso della continenza sessuale e offendano il pudore per la loro manifesta licenziosità" (Cass., Sez. III, sent. n. 1197 del 9 febbraio 1971).
[8] “Pornografia minorile in rete ed adeguamento legislativo” a margine del convegno IL BAMBINO VIRTUALE ‑ Giornata di studio in vista della Sessione speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ‑ dedicata all'infanzia, promossa dalla Commissione parlamentare per l'infanzia, 15 APRILE 2002
[9] 609-decies. Comunicazione dal tribunale per i minorenni. ‑ Quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall'articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni (1). ‑‑Nei casi previsti dal primo comma l'assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado di procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall'autorità giudiziaria che procede. ‑‑‑In ogni caso al minorenne è assicurata l'assistenza dei servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali. ‑‑‑‑Dei servizi indicati nel terzo comma si avvale altresì l'autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento (2).
(1) Comma così modificato prima dall'art. 13, L. 3 agosto 1998, n. 269 e poi dall'art. 15, L. 11 agosto 2003, n. 228. Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 228 del 2003 era il seguente: «Quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall'articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni.». Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla legge n. 269 del 1998 era il seguente: «Quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall'articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni.».
(2) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42).
[10] Va rilevato che mentre nell'incidente probatorio (a cui si riferisce l'art. 398 c.p.p.) l'adozione di tali cautele è limitato al minore degli anni 16 che sia chiamato a deporre in un procedimento per delitti contro la libertà sessuale o per i reati previsti dagli artt. 600-bis e seguenti, in dibattimento tali cautele possono essere adottate indipendentemente dal reato per cui si procede e anche nei confronti di chi abbia già compiuto i 16 anni.
[11] Vedi cass. Sezione terza, sentenza n.39706/03; depositata il 28 ottobre
[12] Natalini, Pedopornografia on line: per gli agenti provocatori la tassatività della legge 269/98 è assoluta, Diritto e Giustizia del 5 novembre 2003.
[13] L'obiettivo è stato raggiunto con l'introduzione, nel Libro I del Codice Civile, del Titolo IX-bis, avente come rubrica "Ordini di protezione contro gli abusi familiari" e con l'introduzione del Capo V-bis del Titolo II del Libro IV del Codice di Procedura Civile, sotto la rubrica "Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari". La legge n. 154 del 2001 ha inoltre introdotto l'art. 736-bis c.p.c. che disciplina le modalità di applicazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari.