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Ventisette anni di Pontificato che
hanno cambiato la storia. E avvicinato la Chiesa ai fedeli
«Ero un mafioso agli ordini dei boss di Brancaccio quando il 9
maggio 1993 il Papa lanciò dalla Valle dei Templi di Agrigento
l'anatema contro di noi. Non ricordo bene le parole, ma da allora
in Cosa nostra si comincio' a vociferare che la Chiesa cominciava
ad essere diversa». Sono le parole dell'ex sicario, Salvatore
Grigoli, l'uomo che ha ucciso don Pino Puglisi il 15
settembre 1993 e che dopo il suo arresto ha iniziato a collaborare
con la giustizia, chiedendo anche perdono alla Chiesa.
PENTITO CRISTIANO
Grigoli nel luglio 2000 avrebbe dovuto testimoniare il suo
pentimento, nel senso cristiano del termine, nella sala Paolo VI
di Citta' del Vaticano, durante una manifestazione giubilare sulla
redenzione, che si svolgeva davanti al Papa. Ma i giudici della
Corte d'Assise che allora lo processavano per aver commesso
omicidi non diedero l'autorizzazione e il killer, condannato a 16
anni per l'uccisione del parroco di Brancaccio, non ebbe la
possibilita' di recitare il suo «mea culpa» davanti a
Giovanni Paolo II.
«La Chiesa di Don Puglisi - ha spiegato Grigoli in un'intervista
rilasciata a Famiglia Cristiana - era diversa da quella che
eravamo abituati a conoscere. Per Cosa nostra la Chiesa era
quella che, se c'era un latitante, lo nascondeva. Non perché
era collusa, ma perché aiutava chi aveva bisogno. Un territorio
neutro, ma tutto cio' e' venuto a mancare negli ultimi anni».
LE PAROLE DEL PAPA
Il pentito sottolinea che i mafiosi non erano abituati a
scontrarsi con la Chiesa. E il monito lanciato dodici anni fa
da Giovanni Paolo II, sarebbe stato letto dalle cosche come una «sfida».
Tanto che gli inquirenti, in un primo momento, ipotizzarono che le
parole del Papa avrebbero indotto i boss a reagire nel luglio di
quello stesso anno con gli attentati alle chiese di San Giovanni
in Laterano e di San Giorgio al Velabro.
«Ma le bombe in queste chiese - ha sostenuto Grigoli - non furono
messe per le parole del Papa. Era tutta un'altra storia. Rientra
in una strategia stragista di Cosa nostra contro le istituzioni».
Di certo l'anatema di papa Wojtyla, che stringendo il crocifisso e
alzando il dito verso il cielo lancio' una «scomunica» contro i
mafiosi, segno' una «rottura'' definitiva nel complesso rapporto
tra la Chiesa e Cosa Nostra. «Dio - grido' ai piedi del Tempio
della Concordia - ha detto 'non uccidere': nessuna agglomerazione
umana, mafia, puo' calpestare questo diritto santissimo di Dio».«Questo
popolo siciliano - aggiunse il Papa - talmente attaccato alla
vita, che ama la vita e da' la vita, non puo' vivere oppresso
sotto la pressione di una civilta' contraria, la civilta' della
morte». E defini' la mafia e in genere i fenomeni di criminalita'
organizzata, «frutto dell'opera del tentatore», «peccato
sociale», il «contrario» della civilta' dell'amore voluta da
Dio.
I vescovi siciliani a più riprese, nel '44, nel '55 e nell'82
avevano censurato i mafiosi, ma mai un Papa aveva pronunciato
parole cosi' decise e ferme. L'eco fu vastissima; le parole e le
immagini del Papa dalle Valle dei Templi di Agrigento fecero il
giro del mondo.
QUANDO DISSE: MAFIOSI, CONVERITEVI!
Ma il grido di Agrigento e l'appello ai mafiosi «convertitevi:
una volta verrà il giudizio di Dio», non sono l'unica presa di
posizione di Giovanni Paolo II contro la criminalita' mafiosa. Lo
stesso giorno dell'omelia, incontrando i genitori del giovane
giudice Rosario Livatino, assassinato il 21 settembre 1990,
aveva definito i magistrati uccisi dalla mafia «martiri della
giustizia, indirettamente della fede». E la condanna dei
mafiosi era stata ripetuta in seguito durante un viaggio a Catania
e Siracusa. Giungendo a Catania Giovanni Paolo II aveva invitato
la Sicilia ad «alzarsi in piedi» e ai detenuti del carcere
minorile catanese aveva ricordato che «chi si rende responsabile
di violenze e sopraffazioni macchiate di sangue umano dovra'
risponderne davanti al giudizio di Dio».
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