DIETRO LE QUINTE DEL TERRORISMO

   Tutti conosciamo gli effetti sanguinari e disastrosi del terrorismo e ne prendiamo le distanze, ma non tutti siamo consapevoli o vogliamo prendere in seria considerazione le cause che lo producono.

   Quando una parte dell'umanitą viene tenuta lungamente nell'ignoranza,nella povertą, nella umiliazione dello sfruttamento da un'altra parte dell'umanitą che, in nome di un liberalismo selvaggio, si arroga il diritto di esercitare il potere e fondare la sua ricchezza sui paesi poveri, taluni gruppi di questi, esasperati e senza speranza nel futuro,a volte, fanno ricorso al terrore anche suicida: atto estremo di ribellione alle ingiustizie subite.

   Ingiustizie dall'altro canto perpetrate in nome di una cultura ritenuta superiore, solo perchč tecnologicamente avanzata e sostenuta a scapito di gente scheletrica, definita sottosviluppata.

   Sottosviluppata non per vizio di natura o per scarsezza di mezzi, ma per la rapina di gente obesa,arricchita,cinica e miope.

   La politica egoistica di quest'ultima e le voraci multinazionali sono interessate a globalizzare ogni cosa che produca profitto, non certamente i diritti naturali dell'uomo, tradendoli subito dopo.

   Se si vuole prevenire ogni forma di terrorismo, occorre riparare le ingiustizie commesse, dare a ciascuno il suo, cambiare le politiche economiche tese allo sfruttamento, riscoprire il senso nobile della politica capace di prevenire e precorrere i bisogni in quei luoghi che poi diverrebbero necessariamente i punti caldi della terra.

   A chiarire meglio quanto č stato detto, č utile riportare una favoletta, tratta da "Il drago e l'agnello" di Giuliana Martirani:

   In un paese africano c'era un lago pescosissimo che nutriva tre pacifiche tribł.  Un giorno arrivano degli stranieri e raccolgono dei dati. Poi giungono moderni pescherecci e si costruiscono grandi impianti di lavorazione del pesce.  La manodopera del luogo viene tenuta a basso prezzo. Ma l'intenso sfruttamento del lago finisce con l'esaurire la grande quantitą di pesce e gli operai vengono licenziati.  Le tribł, prima pacifiche, ora si contendono il poco pesce rimasto ed iniziano i conflitti. Gli stranieri, questa volta, vendono loro le armi in disuso, ma ancora capaci di fare massacri.  Intanto i grandi della terra organizzano conferenze sopra conferenze, per giungere infine ad inviare magri aiuti umanitari nei campi dei rifugiati.

La morale della favola reale č questa: non basta dare un pesce all'affamato, non basta insegnare a pescare, ma soprattutto č importante non rubargli il lago.

Prof.Giuseppe Greco