Immigrazione
Soltanto da alcuni anni l'immigrazione è diventata una politica
dell'UE, ossia da quando l'Europa ha iniziato ad affrontare una
serie di questioni come l'immigrazione legale e clandestina,il
diritto di asilo, il declino demografico e la bomba a orologeria
delle pensioni. Dal 1999 sono state varate numerose direttive
sull'immigrazione proveniente dai paesi terzi. Nei suoi sforzi tesi
a definire questi atti legislativi, il Parlamento europeo ha
sottolineato la necessità di bilanciare gli interessi degli
immigrati, degli Stati membri dell'UE e dei paesi di origine degli
immigrati.
L'immigrazione è un problema delicato che crea divisioni. E'
percepita da alcuni europei come una minaccia all'identità
nazionale, mentre altri la vedono positivamente come una fonte di
diversità culturale. Ma in un'ottica puramente economica di breve
periodo, si può sostenere che l'Europa ha bisogno di immigrati
semplicemente per coprire la mancanza di manodopera. Alcuni settori
- agricoltura, edilizia, industria alberghiera e della ristorazione,
servizi domestici e personali - vanno avanti soltanto grazie a
lavoratori immigrati non qualificati, e sempre di più i datori di
lavoro europei cercano anche immigrati altamente qualificati, ad
esempio nell'informatica. Quanto alla prospettiva di lungo periodo,
l'Europa è alle prese con due tendenze che lasciano presagire il
peggio per i suoi regimi pensionistici: un rallentamento della
crescita della popolazione e un netto aumento dell'età media della
popolazione. Per quanto riguarda i "vecchi" 15 Stati membri dell'UE
si prevede che la popolazione raggiungerà il culmine nel 2025, per
poi iniziare a calare. L'andamento generale in tutti i paesi
dell'Europa centrale ed orientale è simile, se non peggiore. Sebbene
nessuno suggerisca che l'immigrazione può fornire una risposta
completa alla mancanza di personale qualificato e al declino
demografico, una parte crescente dell'opinione pubblica ritiene che
essa possa rappresentare una soluzione parziale.
Ma l'immigrazione è una materia estremamente complessa, con
ramificazioni economiche, sociali, giuridiche e culturali, il che
significa che non sempre può essere trattata dai singoli Stati
membri. In un contesto di mobilità economica, di mercato unico
europeo e di costante dissoluzione delle frontiere all'interno
dell'Europa, occorrono politiche uniformi dell'UE in materia di
permessi di soggiorno, diritto degli immigrati al ricongiungimento
familiare e di canali legali per l'immigrazione. È per questo che i
capi di Stato e di governo dell'UE riuniti a Tampere, Finlandia, nel
1999 hanno concluso che "gli aspetti separati, ma strettamente
connessi, dell'asilo e della migrazione richiedono la definizione di
un politica comune dell'UE".
-
Una politica europea coordinata in materia di immigrazione?
- Il Parlamento europeo
non ha ancora l'ultima parola sulla legislazione dell'UE in
materia di immigrazione, ma secondo il trattato di Amsterdam
questa situazione è destinata a cambiare a partire dal 2004.
Tuttavia, esso è stato consultato su tutti i progetti di atti
legislativi e può anche cercare di influire sulle politiche fin
dalle prime fasi, come nel caso di un importante documento
programmatico della Commissione europea che fissa orientamenti
per un approccio europeo all'immigrazione. Nell'ottobre del
2001, il Parlamento ha adottato una risoluzione su queste
proposte di politica. I deputati europei hanno valutato
positivamente ciò che descrivono come il primo tentativo della
Commissione di esaminare la complessa questione
dell'immigrazione nel suo insieme. Essi hanno sottolineato la
necessità di adottare atti legislativi dell'UE in numerosi
ambiti, compresi i visti e i permessi di soggiorno per i
cittadini di paesi terzi, e hanno espresso commenti sulle
singole questioni.
In merito al diritto di soggiorno, il Parlamento ha sostenuto
che i residenti a titolo permanente dovrebbero potersi spostare
all'interno dell'Unione, mentre ai residenti per brevi periodi
gli spostamenti dovrebbero essere limitati ad un solo Stato
membro. Quanto al mercato del lavoro, il Parlamento ha convenuto
che una politica d'immigrazione comunitaria potrebbe contribuire
a contrastare l'immigrazione clandestina e il lavoro nero, che
creano un vero problema dato che i lavoratori in nero e i loro
datori di lavoro non pagano tasse e spesso violano le norme in
materia di orario di lavoro, di salario minimo e di salute e
sicurezza sul luogo di lavoro. I deputati europei hanno comunque
ritenuto irrealistico che l'Unione cerchi di prevedere il
fabbisogno di manodopera per l'Europa nel suo complesso.
Dovrebbe invece essere ogni Stato membro a decidere sul proprio
fabbisogno. Il Parlamento ha anche sottolineato l'importanza
dell'integrazione e la necessità di promuovere la partecipazione
degli immigrati alla politica, ad esempio concedendo ai
residenti a titolo permanente il diritto di voto alle elezioni
locali. Infine, i deputati hanno rilevato che gli spostamenti di
popolazioni sono un fenomeno a due facce e hanno sottolineato i
danni che può causare l'emigrazione ai paesi in via di sviluppo
sotto forma di fuga delle competenze.
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-
Diritto di soggiorno
- Il Parlamento è stato
consultato su due direttive sul diritto di soggiorno. Durante
l'esame, nel febbraio 2003, di una direttiva sulle condizioni di
ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che
intendono lavorare in Europa, i deputati hanno cercato di
adottare una legislazione più liberale, chiedendo con insistenza
che al coniuge o al partner riconosciuto del titolare di un
permesso di soggiorno debba essere rilasciato un analogo
permesso. Si sono inoltre opposti ad una clausola che prevedeva
che il diritto di soggiorno potesse essere limitato ad una
regione specifica di un paese. In merito alle prestazioni
sociali, i deputati hanno insistito affinché i titolari di un
permesso abbiano diritto all'istruzione, all'assistenza legale
gratuita e ad un'assistenza per ottenere alloggi. Infine, hanno
proposto che i permessi di soggiorno non possano essere revocati
prima della scadenza del diritto all'indennità di
disoccupazione.
Un'altra direttiva doveva applicarsi al soggiorno dei cittadini
di paesi terzi per motivi di studio, formazione professionale o
volontariato, ma il Parlamento europeo ha insistito affinché
fossero inclusi anche i ricercatori non retribuiti. I deputati
si sono inoltre opposti ad una clausola che avrebbe permesso
l'espulsione dei titolari di un permesso di soggiorno per
l'insorgere di malattie o infermità e hanno chiesto alla
Commissione di presentare una relazione periodica sugli
eventuali effetti negativi della direttiva, sottolineando
nuovamente il pericolo della fuga di competenze dai paesi meno
sviluppati. Il Consiglio dei ministri deve ancora pronunciarsi
su queste due direttive.
-
Ricongiungimento familiare
- Il Parlamento europeo
ha spinto per modificare un'altra direttiva, questa volta sul
diritto degli immigrati al ricongiungimento familiare,
sostenendo che tale diritto dovrebbe essere concesso anche ad
altre categorie di persone, non soltanto al coniuge ma anche ai
partner registrati o conviventi, a prescindere dal sesso. I
deputati hanno inoltre affermato che gli Stati membri dovrebbero
consentire l'ingresso di genitori, coniugi o partner dei
richiedenti se questi non possono provvedere alle proprie
necessità e non abbiano alcun altro sostegno. Il Parlamento si è
poi opposto ad una clausola che consente agli Stati membri di
richiedere ai minori di età superiore ai 12 anni di sostenere un
test di integrazione prima di autorizzarne l'ingresso e il
soggiorno.
Il Consiglio ha mantenuto la sua posizione sul test di
integrazione e ciò, in genere, avrebbe segnato la fine della
questione, dato che il Consiglio ha l'ultima parola su questo
tipo di atti legislativi. Tuttavia, i deputati si sono rifiutati
di accettare la sconfitta, ritenendo che il test di integrazione
potrebbe violare l'articolo 8 della Convenzione europea sui
diritti umani (il diritto alla vita familiare). Nel dicembre
2003 il Parlamento ha deciso di rivolgersi alla Corte di
Giustizia per contestare questo articolo della direttiva. A metà
febbraio 2004, la Corte doveva ancora pronunciarsi.
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