Nuovi risultati scientifici presentati alla conferenza di Poznan
Sollevamento e acidificazione
dei mari più rapidi del previsto
A causa dall'aumento delle concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica. Le coste più a rischio
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DAL NOSTRO INVIATO
Il fenomeno dell'acqua alta a Venezia potrebbe diventare più frequente
e severo in futuro (Lapresse)
POZNAN (POLONIA) – Due fenomeni che riguardano le condizioni fisiche e
chimiche degli oceani, entrambi associati al cambiamento climatico, si stanno
manifestando più in fretta di quanto prevedessero gli esperti fino all’anno
scorso: sono l’aumento del livello dei mari e l’acidificazione delle acque
marine. Entrambi creano seri problemi di adattamento agli esseri viventi: il
primo accresce il rischio di sommersione delle zone costiere basse e delle città
affacciate sul mare; il secondo aggredisce tutti gli organismi marini, piccoli e
grandi, dotati di gusci e scheletri calcarei. Del mare che s’innalza si è
parlato in un approfondito side event scientifico alla quattordicesima
conferenza internazionale sul clima in corso a Poznan (1-12 dicembre), dove due
esperti dell’Istituto di ricerche climatiche di Potsdam (Germania), i fisici
Stefan Rahmstorf e Bill Hare, hanno sviluppato il tema: «A greater risk of sea
level rise? New insights since IPCC 2007» . Gli scienziati tedeschi contestano
all’IPCC (il gruppo di studio sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite)
l’affermazione, presente nel rapporto 2007, che l’aumento del livello dei mari
al 2100 arriverebbe, al massimo, a poco più di mezzo metro. Invece, stando ai
più recenti dati raccolti dai satelliti artificiali, il fenomeno sta subendo
un’accelerazione e di conseguenza, alla fine del secolo, si potrebbe arrivare a
un metro di sollevamento medio.
NEW YORK A RISCHIO - La differenza è sostanziale perché, nel caso
dovesse avverarsi il peggiore scenario, già dai prossimi anni le acque
invaderebbero molto più frequentemente le zone costiere situate alle basse
quote, soprattutto in coincidenza di eventi meteorologici avversi. New York, per
citare solo un esempio, è esposta attualmente al rischio di uno «‘storm surge»
ogni secolo (un innalzamento improvviso delle acque provocato da basse pressioni
cicloniche). Ebbene, con lo scenario tendenziale da 1 metro di risalita, la
frequenza degli storm surge balzerebbe a uno ogni tre anni, esponendo a continue
inondazioni le aree più popolose della città. Anche la frequenza delle acque
eccezionalmente alte di Venezia (come quelle verificatesi nei giorni scorsi)
sarebbe destinata ad aumentare; per non parlare delle inondazioni catastrofiche
nel subcontinente asiatico.
Ma, a parte le previsioni future, sulle quali si
scatenano sempre molte opinioni controverse, il dato di fatto che preoccupa gli
esperti è l’aumento del tasso annuo di sollevamento delle acque confermato dai
satelliti, passato da poco meno di due millimetri del Novecento a oltre 3
millimetri nei primi anni del nuovo secolo. Ora, se il tasso annuo si fermasse a
3 millimetri , allora varrebbe la stima più prudenziale dell’IPCC; ma se dovesse
continuare la tendenza all’aumento, si andrebbe inevitabilmente verso scenari
più severi.
TEMPERATURE - «L’aumento del livello delle acque –hanno spiegato Rahmstorf e Hare- è dovuto per circa la metà a effetti di dilatazione termica indotti dall’aumento delle temperature atmosferiche; per l’altra metà dallo scioglimento dei ghiacci. Il sollevamento, inoltre, non è omogeneo su tutti gli oceani e si evidenzia più in alcune regioni e meno in altre, a seconda della dinamica delle grandi correnti marine». La preoccupazione degli scienziati tedeschi è condivisa in Italia da Giovanni Coppini, oceanologo dell’Istituto nazionale di geofisica (Ingv), sezione di Bologna, che, con altri ricercatori Ingv ha collaborato a un recente rapporto dell’Agenzia ambientale europea sugli impatti del clima nel nostro continente («Impact of Europe’s changing climate»). «Le analisi dei dati raccolti dagli altimetri collocati sui satelliti artificiali indicano che i mari che bagnano l’Europa hanno fra i più elevati tassi di sollevamento, per lo meno a partire dal 1993, anno in cui sono iniziate queste misure dall’orbita terrestre, in aggiunta a quelle effettuate dai mareografi lungo le coste. Questo fenomeno impone la progettazione e l’adozione di misure di adattamento nelle aree più esposte”, spiega il ricercatore.
ACIDIFICAZIONE - L’altro grande malessere degli oceani causato
dall’effetto serra si chiama ‘processo di acidificazione’. Le acque marine hanno
un pH medio di 8,3 e quindi sono alcaline (per convenzione, per valori sopra 7
una soluzione è alcalina, sotto è acida). Ma da alcuni anni il pH oceanico sta
calando, prima di centesimi, poi di decimi di pH. Secondo uno studio
dell’Università di Chicago, uscito proprio in concomitanza con la conferenza di
Poznan, e pubblicato sull’ultimo numero dei «Proceedings of the National Academy
of Science», il processo di acidificazione degli oceani ora corre dieci volte
più in fretta di quanto prevedessero i modelli. «Il fenomeno è spiegabile con
l’incremento della concentrazione antropica di CO2 nell’atmosfera, metà della
quale si scioglie nelle acque marine, dove produce acido carbonico, il quale
provoca il processo di acidificazione, facendo diminuire il pH -spiega il
biologo Jeff Price, direttore del programma ‘Adattamento al cambiamento
climatico’ del Wwf internazionale-. Per la prima volta gli scienziati americani
hanno messo sotto osservazione per otto anni consecutivi alcune specie di
vegetali e animali marini, piccoli e grandi, nelle coste dello Stato di
Washington, rilevando i danni provocati dall’accelerato calcareo».
«L’incremento dell’acidità che abbiamo potuto misurare in questo periodo è
dello stesso ordine di grandezza di quello che era previsto per l’intero secolo”
-ha dichiarato Timothy Wootton, uno degli autori della ricerca-. Se continua
così è inevitabile aspettarsi danni a tutta la catena alimentare marina e alla
stessa pesca».
Franco Foresta Martin
05
dicembre 2008
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