DAL  CORRIERE DELLA SERA

LA  MAFIA E LA POLITICA IN SICILIA

Gli industriali antimafia

Il nuovo caso Sicilia


di Piero Ostellino

 

Dopo tanti anni di passività, il mondo imprenditoriale si sta attivando di fronte al «caso Sicilia», individuando l'obiettivo che nel 1815 Ugo Foscolo aveva così enunciato: «A rifare l'Italia bisogna disfare le sètte ». È quanto il procuratore aggiunto di Palermo e coordinatore del Dipartimento «mafia ed economia », Roberto Scarpinato, ha sintetizzato sul Corriere di ieri: «L'impegno del presidente della Confindustria nazionale di espellere non solo gli imprenditori che si rassegnano a pagare il pizzo, ma anche tanti imprenditori a vario titolo collusi con la mafia (dimostra) come si stiano rompendo equilibri consolidati che in passato avevano condannato all'immobilismo il mondo imprenditoriale ». Sintomatica, al riguardo, è altresì la denuncia del presidente della Confindustria di Caltanissetta di alcuni recenti episodi di intimidazione, non tanto riconducibili agli uomini del racket quanto a settori interessati a sabotare dall'interno i processi di moralizzazione in corso che potrebbero compromettere gli interessi di chi, per «arraffare» i finanziamenti pubblici, ha intessuto rapporti incestuosi fra economia e criminalità organizzata. Vengono, così, al pettine i nodi che già un altro presidente di Confindustria, Guido Carli, aveva segnalato. La corruzione che più ha danneggiato il Paese non è stata quella di matrice criminale, bensì quella politica. Leggi che — tutelando interessi particolari, mortificando il mercato, favorendo «chi ha saputo solo arraffare i finanziamenti pubblici » — erano già esse stesse impregnate e produttrici di corruzione. Luigi Einaudi, riecheggiando il pensiero di un grande meridionalista liberale, Giustino Fortunato, aveva scritto in un articolo intitolato significativamente Tempi lunghi che sarebbe stato un errore affrettare l'industrializzazione del Sud se prima non si fosse promosso un livello più alto di istruzione, anche civica. Lo Stato si è occupato di ciò che non gli compete — diventando imprenditore, padrone, benefattore — invece, come ha detto Luca Montezemolo davanti alla Commissione antimafia, di assolvere la sua funzione primaria, la creazione di infrastrutture e di servizi sociali, di sicurezza. Forse, è anche per questa ragione culturale che nei confronti delle iniziative che il mondo imprenditoriale ha intrapreso contro la criminalità organizzata non c'è sufficiente attenzione. Afone quelle di sostegno, poche sono state anche le voci di apprezzamento che si sono levate nel mondo della politica come in quello intellettuale. La sindrome «familista» sembra rallentare quell'«imprescindibile operazione di pulizia interna — ha scritto ancora Scarpinato — che non può essere surrogata da meri esorcismi verbali non seguiti da comportamenti coerenti, né supplita dall'impegno di tanti nelle istituzioni e nella società civile». Se lo Stato lasciasse solo il mondo imprenditoriale non commetterebbe solamente un errore, ma un crimine.

29 novembre 2007