Baghdad - La città di Abu Noor era
diventata così ostile verso gli sciiti che sua moglie non era
uscita di casa per un mese, la sua famiglia non poteva più
andare in ospedale e colpi di mortaio avevano colpito le case
di due dei suoi leader religiosi.
“Non potevo neanche aprire la porta e starmene nel mio
giardino”, racconta.
Così, quando Abu Noor, uno sciita di Tarmiya, una città a
nord della capitale a forte maggioranza sunnita, si è
imbattuto in un vecchio amico, un sunnita che aveva i suoi
stessi problemi in un quartiere sciita di Baghdad, i due hanno
deciso di scambiarsi le case. Hanno anche usato lo stesso
furgone per i traslochi.
Due anni e mezzo dopo l’invasione americana dell’Iraq, le
profonde divisioni che hanno per lungo tempo spaccato la
società irachena sono violentemente venute in piena luce.
Mentre l’odio tra sunniti e sciiti si rafforza e
l’incessante tributo di bombe e assassinii cresce, le
famiglie lasciano le loro città miste per cercare zone più
sicure dove non siano automaticamente considerate dei
bersagli. Così facendo, stanno creando delle enclave sempre
più polarizzate e ridisegnando la mappa delle fazioni in
Iraq, specialmente a Baghdad e nella cintura delle città che
la circondano.
Le prove di questo fenomeno al momento si limitano ai
resoconti verbali: il governo non sta monitorando gli
spostamenti. Secondo un conteggio approssimativo, circa 20 tra
città e paesi nei dintorni di Baghdad stanno subendo un
processo di segregazione, secondo i resoconti degli sceicchi
locali, di organizzazioni non governative irachene e
funzionari militari, e delle stesse famiglie. Quelle zone sono
tra le più promiscue e le più violente in Iraq: secondo i
militari americani, l’85% degli attacchi nel Paese si
concentrano in quattro province, tra le quali Baghdad ed altre
due a nord e ad ovest della capitale.
L’instabile miscuglio di sette è un retaggio dell’epoca
di Saddam Hussein, il quale favorì i proprietari terrieri
sunniti dei lussureggianti territori intorno a Baghdad, per
rafforzare la loro lealtà e proteggersi dagli sciiti del sud.
Gli sciiti venivano a lavorare la terra e talvolta per
acquistarla. Abu Noor si trasferì a Tarmiya nel 1987 dopo che
il governo aveva dato il terreno a suo padre.
“I luoghi più violenti sono i paesi e le città intorno a
Baghdad”, afferma lo sceicco Jalal al-Dien al-Sagheer,
membro del parlamento per un partito religioso sciita. “Era
un cerchio che è stato inventato. Prima non esisteva”.
Il risultato è stata una carneficina di dimensioni imponenti.
A Tarmiya, un caro amico sciita di Abu Noor che l’aveva
aiutato a imballare il suo mobilio e l’aveva accompagnato a
Baghdad ha ricevuto una lettera in cui gli si intimava a
lasciare il paese o sarebbe stato ucciso. Diciannove giorni
dopo è stato colpito a morte nel suo negozio di falegnameria
davanti a suo padre e a suo fratello. Complessivamente, almeno
otto tra amici e parenti stretti di Abu Noor, tra i quali un
fratello, sono stati uccisi dall’inizio del 2004.
I motivi degli attacchi sono spesso complicati. Le complesse
reti di affiliazioni tribali e condizioni sociali che
governano la vita di ogni giorno in Iraq spesso non si
riducono all’equazione lineare “sciiti contro sunniti”.
Sempre più spesso, invece, nonostante gli appelli di alcuni
leader religiosi sciiti e politici sunniti, gli attacchi si
sono verificati. Una frangia prevalentemente sunnita sta
conducendo attacchi violenti contro civili spesso sciiti,
mentre squadre della morte sciite perseguitano apertamente i
sunniti per vendetta, e il governo a maggioranza sciita
effettua regolarmente arresti nei distretti sunniti.
Espressioni di pregiudizio sono apparse sui muri e anche su
volantini.
A Tarmiya è stata scarabocchiata sui muri della città la
scritta: “Fuori di qui i seguaci di Badr! Traditori!
Spie!”, che fa riferimento all’ala armata di un partito
religioso sciita. A Madaen, una città mista a sud di Baghdad,
sui muri di molti edifici pubblici è apparsa una lista di
nomi come ammonimento a lasciare la città. Molti lo hanno
fatto.
A Samarra, lo scorso autunno, sono apparsi volantini che
proclamavano in un goffo stile infantile che Samarra è una
città sunnita.
“All’inizio pensavamo che fossero scritti da ragazzini e
che qualcuno li avrebbe puniti”, dice lo Sceicco Hadi
al-Gharawi, un imam che ha lasciato Samarra, a nord di Baghdad,
alcuni mesi fa. “Ma poi abbiamo scoperto che si trattava di
adulti, e che facevano sul serio.”
Suo nipote, Ahmed Samir al-Gharawi, di 15 anni, che si è
trasferito a Baghdad separatamente con la sua famiglia a
settembre, era uno di due sciiti nella sua classe di scuola
superiore a Samarra. A gennaio, i suoi compagni di classe
indagavano per scoprire se la sua famiglia avesse votato in
una elezione nazionale. “Cercavano di scoprire la verità
scherzando”, ha riferito. “Io non gliel’ho detto”.
Samarra è un luogo santo dell’Islam sciita con due templi
sacri, e gli sciiti hanno vissuto là per centinaia di anni.
Nonostante ciò, in maniera simile a quanto accade a Tarmiya,
gli imam sciiti sono stati attaccati e le attività
commerciali sono diventate bersagli, riferisce lo sceicco
Gharawi, sicché gli sciiti hanno cominciato a lasciare la
città. Emad Fadhel, un uomo d’affari sciita che si è
stabilito là 38 anni fa, ha stimato che tra 200 e 260
famiglie sciite vivessero nella città prima del 2003, una
cifra che lui dice di aver appreso distribuendo medicinali
alle famiglie povere. Di queste ne rimangono meno di 20,
secondo Fadhel, che si è trasferito con la sua famiglia lo
scorso agosto, poco dopo che una bomba a mano era stata
lanciata contro suo padre.
Il terrore ha colpito Ali Nasir Jabr, un ragazzo dodicenne
dagli occhi tristi, il 20 agosto, quando quattro uomini armati
sono entrati nella casa della sua famiglia a Samarra e hanno
cominciato a fare commenti sull’origine sciita della sua
famiglia. Ali, che fingeva di dormire su una stuoia sul
pavimento, ha detto di aver sentito sua madre rispondere che
la famiglia aveva vissuto nella città per diciotto anni.
Quindi quegli uomini hanno sparato uccidendo il padre, la
madre, i due fratelli e la sorella. Ali è corso alla casa di
un vicino per chiedere aiuto, poi è tornato indietro da solo
per attendere l’arrivo dei soccorritori.
“Li ho esaminati e li ho baciati, uno ad uno”, racconta
Ali, seduto in una moschea al centro di Baghdad, con i
pantaloni stretti da una piccola cintura. “Qualcuno poteva
essere ancora vivo.”
Ora Ali vive a Kut, nell’Iran meridionale, con uno zio. Le
richieste di autopsie, i certificati di morte e
l’organizzazione dei funerali l’hanno costretto a
spostarsi fra tre città con i cinque cadaveri nella calura
estiva. Lui ha dato una mano ad avvolgere e a trasportare
ciascuno di loro. Ai funerali, in una zona mista a nord di
qui, una dozzina di amici armati facevano la guardia, racconta
suo zio.
Alcuni iracheni, nonostante anni di uccisioni di massa di
curdi e sciiti durante il dominio di Saddam Hussein, ancora
sostengono che le divisioni tra sette non esistevano in Iraq
prima dell’invasione americana. Ma grattare appena sotto la
superficie si rivela doloroso in molte case sciite. Abu Noor
ricorda di aver chiesto ad un insegnante di scuola superiore a
Tarmiya il significato della parola “shroogi”, un termine
spregiativo per “sciita”. Gli sciiti cercavano di
nascondere i loro cognomi. Al giorno d’oggi, il profilo
settario che sta assumendo il governo, che è sciita, va in
senso opposto, e così ci sono persone che comprano carte di
identità false per nascondere i loro cognomi che sono
chiaramente sunniti.
Per quelli che sono rimasti nei loro quartieri misti, la vita
è diventata circoscritta. Ad Ur, un quartiere di Baghdad che
è sciita all’80%, Wasan Foad, un sunnita di 32 anni, ha
sviluppato una sorta di sintonia con i tempi degli attentati
suicidi. Foad racconta degli occhi della gente su di sé e dei
mormorii anti sunniti al mercato dopo un grosso attentato a
Hilla questo inverno.
“Eravamo come prigionieri nelle nostre case”, dice Foad,
che questa estate si è trasferito con sua moglie e i suoi tre
figli piccoli nel distretto a maggioranza sunnita di Khudra. I
percorsi delle migrazioni sono diversi per i sunniti. Le
minacce per loro sono arrivate non tanto da lettere anonime,
quanto da arresti su larga scala da parte della polizia e
dell’esercito iracheno, largamente sciiti, criticati dai
sunniti come arbitrari e ingiustamente limitati ai quartieri
sunniti. Lo sceicco Hussein Ali Mansour al-Kharaouli, membro
del Partito islamico iracheno, ha detto che molte famiglie
sunnite si sono trasferite da Jibelah, Muhawail, Iskandariya e
Haswa, tutte a sud di Baghdad, per sfuggire agli arresti.
La rete è ampia e il trattamento può essere rude. Thiab
Ahmed, un sunnita di Madaen, un paese a sud di Baghdad che ha
conosciuto gravi lotte tra le sette, racconta che suo
fratello, Khalid, è morto in una prigione del ministero degli
interni il 20 ottobre, sette giorni dopo che agenti della
polizia irachena lo avevano arrestato. Ahmed, parlando ad una
organizzazione sunnita per i diritti umani, ‘La Voce della
Libertà”, ha mostrato le foto di un uomo il cui corpo era
stato mutilato e crivellato di buchi con un trapano, un metodo
spesso usato dagli inquirenti sciiti.
“L’ho trovato nell’obitorio”, ha detto Ahmed, con il
volto duro. “Era etichettato come ‘Corpo sconosciuto’”.
I mandati di cattura erano il motivo per cui l’amico sunnita
di Abu Noor voleva lasciare Baghdad. Due dei suoi fratelli
erano ricercati dalla polizia, racconta Abu Noor, e la
famiglia pensava che fosse meglio abbandonare la zona, un
distretto a maggioranza sciita a nord-est di Baghdad chiamato
Huriya. La famiglia aveva le sue radici tribali nel paese di
Abu Noor e là si sentiva al sicuro. Le famiglie respirano
meglio nelle loro nuove vite. Una intera comunità di sciiti
da Samarra, Tarmiya e altre città a maggioranza sunnita vive
a proprio agio in modeste case lungo le stradine affollate di
negozi di Huriya.
Ma rimane il rancore. Un ex circolo di ufficiali che Abu Noor
ha contribuito a trasformare in una moschea provvisoria per le
funzioni religiose sciite nel 2003 è stato trasformato in un
campo da gioco, racconta. Lui si sforza di tenere i suoi
risentimenti fuori dal suo rapporto con l’amico sunnita.
Ogni mese questi viene a riscuotere la differenza
nell’affitto: l’appartamento di Baghdad è più caro e Abu
Noor paga la differenza di 140 dollari.
La scorsa settimana Abu Noor ha fatto domanda per un posto nel
nuovo esercito iracheno. È il modo in cui può legalmente
prendersi la sua vendetta, ha detto.
Fadhel, l’uomo d’affari sciita di Samarra, ora vive non
lontano da Abu Noor. Quando gli è stato chiesto se sarebbe
ritornato alla sua vecchia casa, lui ha raccontato una favola
irachena. In essa, un padre lascia suo figlio a prendersi cura
di un serpente danzante che dà monete d’oro. Il figlio
avido cerca di uccidere il serpente per prendersi tutto il suo
oro e viene morso a morte dal serpente, ma non prima di
avergli tagliato la coda. Il padre ritorna e trova il figlio
morto e il serpente ferito, e tenta invano di farsi perdonare.
Il serpente risponde che l’uomo non avrebbe mai dimenticato
suo figlio, e lui non avrebbe mai dimenticato la sua coda.
“Non potremo più essere amici”, ha concluso Fadhel.
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