Turismo
ecologico e guida alle osservazioni in campo
Nel corso della nostra escursione a
Fornazzo, abbiamo avuto modo di comprendere meglio il significato e
l’importanza del turismo ecologico. Con questo termine si indica un turismo responsabile,
che conserva gli ambienti naturali e sostiene il benessere delle popolazioni
locali.
Il turismo ecologico, o ecoturismo,
per definizione, deve essere, prima di tutto compatibile con l’ambiente
naturale: lo deve rispettare e proteggere. Un tipo di turismo che porta al
degrado ambientale è quanto mai dannoso, oltre che per l’ambiente, anche per se
stesso, in quanto distrugge proprio la risorsa su cui basa la propria fonte di
guadagno.
L’ecoturismo deve contribuire
a sostenere il benessere delle popolazioni locali, nel rispetto delle loro
tradizioni e delle loro culture.
La necessità di escogitare forme di
turismo non distruttive nei confronti dell’ambiente naturale è sorta in seguito
alla consapevolezza che un numero crescente di persone si sposta verso località
turistiche; questo comporta inevitabilmente un impatto sia sull’ambiente, che
sulle culture locali.
Oggi si tende ad effettuare studi di
valutazione di impatto turistico, proprio per conoscere la “ capacità”
turistica di un ambiente e le sue possibili evoluzioni in seguito all’impatto
antropico. Laddove è necessario, possono essere imposti limitazioni nel numero
di persone che possono accedere ad ambienti protetti o biglietti all’ingresso.
L’ecoturismo, per come lo
abbiamo definito finora, presenta molti aspetti positivi. Infatti, oltre ad
essere una fonte di sviluppo economico, è importante nel favorire il contatto
costruttivo tra popoli di differenti culture e tradizioni, nel proteggere la
fauna e la flora, nel creare nuovi parchi e nel diffondere una coscienza
ambientale.
Fornazzo, un piccolo centro di un
centinaio di abitanti, dove ci siamo recati, è stato nominato dalla rivista Airone, il villaggio ideale d’Italia,
per l’integrazione tra l’ambiente naturale e il centro abitato, oltre che per
lo stile di vita, che qui si svolge secondo ritmi più naturali.
Del resto, anche in base ad una
classifica stilata dal Touring Club sulle località sciistiche, risulta che ai
primi posti si attestano località poco note, ma di maggiore qualità ambientale
rispetto ad altre più conosciute.
La notissima località di Madonna di
Campiglio non risulta tra i primi posti, come invece ci si potrebbe aspettare.
L’ambiente naturale che fa da sfondo
a Fornazzo è quello del parco dell’Etna. Quest’ultimo è stato istituito nel
1987, data l’unicità del paesaggio.
L’Etna è il vulcano attivo più alto
d’Europa.
Il Parco dell’Etna, che si estende
dalla cima del vulcano fino alla cintura superiore dei paesi etnei, è suddiviso
in due zone. Nella zona A (19000 ettari) non ci sono insediamenti umani e gli
spazi sono ancora incontaminati.
Nella zona B (26000 ettari) troviamo
anche appezzamenti privati e antiche case contadine, segno della presenza
costante dell’uomo in queste aree. Qui, in particolare, il Parco ha anche la
finalità di proteggere, eventualmente con sostegni finanziari, le attività
tradizionali degli agricoltori, chiaramente sempre nel rispetto della natura e
del paesaggio.
Del Parco non fanno parte i centri
abitati dei paesi etnei.
Per quel che riguarda la vegetazione
essa è varia e ricca, sia per il continuo rimaneggiamento del substrato a causa
delle colate laviche, sia per le variazioni climatiche in rapporto ai livelli
altitudinali.
Nei livelli più bassi troviamo
formazioni naturali a Leccio, insieme a vigneti, noccioleti e pistacchieti.
Salendo ancora di quota, incontriamo boschi di Querce, Castagni e pometi.
Troviamo ancora più in alto, la Roverella, il Cerro e pinete di Pino laricio.
Il Faggio raggiunge sull’Etna il limite meridionale del suo areale.
Altre specie, queste caratteristiche
della zona, sono la Ginestra dell’Etna e la Betulla dell’Etna. La Ginestra
caratterizza il paesaggio etneo ed è una colonizzatrice delle lave. La sua
presenza crea i presupposti per l’insediamento successivo di altre specie vegetali.
Oltre il limite degli alberi,
troviamo arbusti di Astragalo siculo, poi, oltre i 2500 m, pochissime specie,
fino a raggiungere il deserto vulcanico, che domina le quote sommitali.
Per quanto riguarda la fauna del Parco,
essa era molto più ricca fino a un secolo fa. Lupi, Cinghiali, Daini e Caprioli
sono oggi scomparsi a causa del disboscamento e della caccia.
Sono ancora presenti: l’Istrice, la
Volpe, il Gatto selvatico, la Martora, la Donnola, il Ghiro, il Topo quercino,
il Riccio, alcune specie di Pipistrelli. Tra gli uccelli ricordiamo: il Falco
pellegrino, l’Aquila reale, il Barbagianni, il Gufo comune, il Colombo
selvatico, il Picchio e la Ghiandaia.
Tra i Rettili, rileviamo la presenza
del Ramarro e della Vipera.
Le attività svolte dall’uomo entro
l’area del Parco, sono l’artigianato basato sulla lavorazione della pietra
lavica, le coltivazioni di alberi da frutta, la produzione di ottimi vini e del
miele.
Queste attività hanno una ricca
tradizione e rappresentano un importante patrimonio culturale, che deve essere
sostenuto e difeso dall’impatto con le attività industriali. Sostenere e
difendere le attività tradizionali è uno degli obiettivi del Parco e in
generale dell’ecoturismo.
Al centro visite di Fornazzo, la
guida naturalistica ha indicato quali funzioni essa deve assolvere, durante una
tipica escursione: non soltanto deve guidare i visitatori lungo un sentiero, ma
anche aiutare il visitatore ad interpretare il territorio che osserva. Infatti
dietro un bel paesaggio c’è un insieme di informazioni che si possono desumere.
L’escursione, dunque, diviene in tal modo realmente istruttiva, non solo mero
passatempo.
Le informazioni che possiamo
ricavare dall’ambiente provengono dai nostri stessi sensi. L’osservazione
attenta è il primo passo e ci fornisce interessanti spunti. Ad essa vanno
aggiunti i suoni, provenienti da diversi direzioni e le sensazioni tattili.
Unendo le varie sensazioni si possono trarre molte conclusioni. Ad esempio
dagli escrementi di un animale, possiamo risalire alla specie, alla sua
presenza nella zona, alla sua dieta, alle sue abitudini, ecc.
Dalle variazioni vegetazionali
possiamo in qualche modo trarre informazioni sul clima.
Dalle penne di un uccello trovate
per terra, possiamo risalire alla specie e alla possibile fine dell’animale.
Dai resti di una pigna possiamo
avere un’idea dell’animale che si è nutrito dei pinoli in essa contenuti,
attraverso le tracce sulle squame.
Durante la nostra escursione,
percorrendo un sentiero, abbiamo avuto modo di effettuare alcune osservazioni
come queste.
Il letto di un torrente stagionale
corre vicino il sentiero. L’acqua, che proviene dagli accumuli di neve a quote
più elevate, nelle ore centrali dei giorni primaverili, scorre abbondantemente.
A causa delle temperature basse del primo mattino e del secondo pomeriggio, la
portata è massima solo nelle ore centrali del giorno.
In Autunno e Inverno, sempre per le
basse temperature, non troviamo acqua.
Nei pressi del torrente, abbiamo
notato escrementi di Volpe, usati dall’animale per marcare il territorio. La
Volpe, dall’odore, riesce a risalire al passaggio di altri animali, compresi
uomini e riesce a farsi un’idea del numero, in base all’intensità dell’odore
che percepisce.
Seguendo il sentiero, siamo arrivati
alla “Casa Pietra Cannone”, antico appoggio per i contadini. Essa è costruita
con blocchi di pietra lavica grezzi e nel complesso si integra bene con
l’ambiente circostante.
Vicino, si trova una cavità,
derivante dall’impronta lasciata da un antico albero, abbattuto e ricoperto
dalla lava. Da questa cavità tubolare, appunto, il nome di “ pietra cannone”.
Nelle vicinanze ci sono esemplari
arborei di Genista aetnensis (Ginestra dell’Etna), buona colonizzatrice
delle lave etnee.
Sempre seguendo il sentiero, abbiamo
osservato, dapprima, formazioni miste a Castagno e Roverella. I Castagni sono
stati, molto probabilmente, impiantati dai Romani, nell’antichità. Dal medesimo
ceppo partono diversi polloni; questi boschi, infatti, sono sfruttati
dall’uomo, per ricavare legname.
La lettiera è spessa e il sottobosco
alquanto povero.
Procedendo ancora, abbiamo
incontrato altri esemplari di Roverella, Cerro e poi anche il Pioppo, dalla
caratteristica scorza liscia e verdina, colore conferitole da alghe epifite.
Sulla scorza vi sono anche dei Licheni. Inoltre sono visibili dei fori nel
tronco, accessi ai nidi del Picchio.
Il verso di una Gazza, intanto,
avverte altri individui della sua specie, della presenza di intrusi.
Sulle rocce laviche vi sono Licheni
della specie Stereocaulon vesuvianum.
Le pigne che abbiamo trovato per
terra, lontane dai Pini, testimoniano la presenza del Picchio, che è solito
portarsi la pigna ad una certa distanza, sul suo ramo preferito, per estrarre i
pinoli con calma.
Inoltre pigne rosicchiate, presenti
per terra, sono una traccia del passaggio di Roditori, come Ghiri e Topi
quercini.
Le pigne che mostrano alcune squame
quasi tagliate di netto, invece, sono tracce della presenza di Crocieri.
Nel terreno sono visibili tane di
Arvicole; incastrati tra i rami delle Ginestre, osserviamo dei lapilli di
lava.
Tornati al centro visite, abbiamo
osservato alcuni animali imbalsamati, che vivono nel Parco e alcune tracce
della loro presenza, come le borre del Barbagianni, crani e penne di uccelli
(che ci possono fornire indicazioni sulla loro morte), alcune uova schiuse o
predate (distinguibili in base al margine dell’apertura del guscio), alcune
pigne con le tracce dell’animale che si è nutrito dei pinoli (Picchi, Crocieri,
Roditori), alcune curiose galle (che si formano come reazioni pianta alla
puntura di determinati insetti), gli aculei dell’Istrice e del Riccio.
Abbiamo osservato e toccato con mano
sezioni di tronchi di diverse specie vegetali (Pino laricio, Roverella, Betulla,
Ginestra) e delle bombe vulcaniche, frammenti di lava che vengono proiettati in
alto durante un’eruzione e vengono modellati in aria.
L’osservazione delle bombe
vulcaniche è stata spunto per ricordare i due tipi di lave presenti sull’Etna:
lave aa, con superficie scabra ed accidentale e lave pahoehoe, più lisce e
modellate.
Dentro la lava si notano, a volte,
dei frammenti di roccia sedimentaria, definiti xenoliti. Questi provengono
dalla base su cui poggia il vulcano.
Infine, abbandonato Fornazzo, abbiamo
raggiunto il Castagno dei Cento Cavalli, in località Sant’Alfio.
Si tratta di uno degli alberi più
grandi ed antichi esistenti al mondo; la ceppaia dell’albero è deteriorata e
divisa in grossi tronchi. Ciò che colpisce maggiormente l’attenzione è la
monumentalità di questa pianta millenaria.
Dr.
Antonello Greco